Pesaro, Teatro Rossini – 12 agosto 2019

Demetrio e Polibio
Dramma serio per musica in duetti di Vincenzina Viganò Mombelli
Musica di Gioachino Rossini
Revisione sulle fonti della Fondazione Rossini in collaborazione con Casa Ricordi a cura di Daniele Carnini
Personaggi e interpreti
Lisinga Jessica Pratt
Demetrio-Siveno Cecilia Molinari
Demetrio-Eumene Juan Francisco Gatell
Polibio Riccardo Fassi
Direttore Paolo Arrivabene
Regia Davide Livermore
Ripresa della regia Alessandra Premoli
Scene e costumo Accademia di Belle Arti di Urbino
Luci Nicolas Bovey
Coro del teatro della Fortuna M. Agostini di Fano – direttore Mirca Rosciani
Filarmonica Gioachino Rossini di Pesaro
Produzione 2010

Compare nei palcoscenici italiani per la terza volta, il Demetrio e Polibio di Gioachino Rossini con regia di Davide Livermore, prodotto dal ROF nel 2010 e ripreso da Alessandra Premoli in questa edizione 2019, la quarantesima XL (extralarge) edizione del ROF, dopo un passaggio a Napoli nel 2013 al teatro di Corte per la stagione del Teatro San Carlo.

Opera di raro ascolto, ma recuperata, anche se non in forma critica, ancora nel 1979 in un primo allestimento del titolo all’Opera di Barga, passando per il festival della Valle d’Itria (1992) e al Belcanto-festival van Dordrecht (1996), e una ripresa al Rossini in Bad Wildbad, tappe della Rossini Renaissance.

A distanza di quasi 10 anni funziona la regia di Davide Livermore fatta di spiriti vaganti notturni, personaggi di un dramma, che chiedono di farsi mettere in scena per dare voce alle loro storie, quando a sipario chiuso e a luci spente, un teatro si anima di vita propria, reale o immaginata dalla finzione della messa in scena. Il retro palco si anima anche di persone reali, omaggio agli operatori dietro le quinte, tecnici che movimentano scene, vigili del fuoco che attendono la fine del loro turno, salvo essere chiamati nelle loro funzioni, pubblico immaginato da dietro un sipario, ambientato in una realtà contemporanea, ma con i personaggi che agiscono in un passato coevo a Rossini ma caricaturale. Per un cinefilo esperto, il gioco creato rimanda ad un film di Antonio Pietrangeli del 1965, Fantasmi a Roma, dove fantasmi rievocati si prendono gioco di se stessi e della loro vita passata interagendo con gli umani. È gioco che piace ai bambini, quando immaginano che le cose acquistino una vita propria appena spente le luci di un fine servizio, e Livermore realizza un gioco di fantasmi che si sdoppiano, che si rincorrono tra i costumi di scena per apparire moltiplicati, che interagiscono con il proprio doppio in un gioco di riflessi di piccole specchiere come ologrammi tridimensionali. È la ricostruzione reale e immaginata quella che il regista creò nel 2010 per il ROF per la riproposta della prima opera scritta da Gioachino Rossini nel 1806, meglio 1810, e messa in palcoscenico al teatro Valle di Roma nel 1812.

Il Demetrio e Polibio fu composta su commissione del tenore Domenico Mombelli per la sua famiglia. Sua moglie Vincenzina fu l’autrice dello sconclusionato libretto, redatto secondo le regole della drammaturgia del Metastasio, infarcita di ruoli doppi, personaggi in incognito, amori controversi, scontri politici, rapimenti, per concludersi con agnizioni finali e con il classico “e vissero felici e contenti”.

In breve, il re di Siria Demetrio sotto il falso nome di Eumene, vuole riavere il figlio Siveno promesso a Lisinga, figlia del re dei Parti Polibio: alla fine Lisinga riesce a convolare a nozze con l’amato Siveno.

Mancando l’autografo si possono fare solo delle supposizioni su ciò che fu effettivamente di mano di Rossini e ciò che invece venne composto dallo stesso Domenico Mombelli (si suppone la Sinfonia). L’opera venne composta in maniera alquanto frammentaria: lo stesso Rossini, ricordando a distanza di anni i contatti con la famiglia Mombelli (il capofamiglia, Domenico, era tenore e capo di una singolare compagnia che prevedeva le due figlie, Anna e Ester, titolari dei ruoli di “primo uomo” e “prima donna”) narra che “Domenico mi dava delle parole ora per un duetto, ora per un’arietta, e mi pagava un paio di piastre al pezzo, cosa che mi spronava a grande attività“. Certamente Rossini conosceva appieno le caratteristiche vocali del soprano Ester Mombelli per cui scrisse la parte di Lisinga, una parte ricca di fioriture e dominata da un funambolismo vocale che permeerà poi la vocalità sopranile del successivo Rossini serio. Del resto al soprano affidò la cantata La morte di Didone abbandonata, Donna del Lago e Madama Cortese, nel Viaggio a Reims del 1825. L’opera fu oggetto di autoprestito da Rossini stesso che riutilizzò brani nel Ciro in Babilonia, come nell’Aureliano in Palmira e nell’Elisabetta regina d’Inghilterra, le parti corali nel Tancredi. Piacque tanto a Stendhal che la vide a Como nel 1813 ed è piaciuta al pubblico che alla prima rappresentazione del 12 agosto al Teatro Rossini di Pesaro ha decretato un trionfo con lunghe ovazioni alla fine di ciascuna scena nei confronti degli artefici della produzione e vera apoteosi alla fine. Questa composizione risente anche di una disparità di trattamento vocale tra le parti in scena tutto puntata sul dare risalto al ruolo di Lisinga, lasciando più defilate le parti maschili. Ma quando ci si trova ad un cast di professionisti consolidati nei ruoli rossiniani scelti per l’occasione con un riguardo alle loro caratteristiche vocali, tutti gli interpreti riescono a brillare con sicurezza e competenza.

Bene ha fatto il basso Riccardo Fassi (Polibio) giovane e intraprendente voce nuova nel panorama lirico, voce ben impostata di basso leggero certamente facilitato in un ruolo a cui si richiede la particolare dote di saper cantare e di fraseggiare nei recitativi, di essere attore in una vicenda, benché complicata, riuscendo a dare anche personalità a questo personaggio di padre austero e amorevole, un po’ borghese e conformiste il linea anche con l’idea dell’allestimento che non prende sul serio i suoi personaggi. Al suo fianco, nel ruolo di Demetrio Eumene, il tenore Juan Francisco Gatell, meglio di tante altre volte ascoltato, che in una parte che vocalmente non comporta grosse difficoltà riesce ad esprimere al meglio le sue qualità di buona emissione e di morbidezza vocale. Ma sono state le protagoniste femminili che hanno acceso l’entusiasmo del pubblica nella serata della prima rappresentazione pesarese. Il soprano Jessica Pratt già protagonista nella ripresa napoletana nel 2013 ha saputo riconfermare al meglio le sue qualità vocali e di interprete quando sono richieste arditezze vocali al limite nelle zone acute, insieme al canto lirico, patetico della scrittura spianata il tutto con fraseggio accurato musicalità che non ha rivali. Con “Superbo, ah tu vedrai”, il soprano, con trilli ad effetto che hanno fatto scatenare l’ovazione del pubblico, ha confermato l’affetto del pubblico del ROF nei suoi confronti. Al suo fianco, tenendogli testa nei duetti e nei concertati e condividendo il successo della serata, il giovane mezzosoprano Cecilia Molinari (Demetrio-Siveno), risultato artistico dell’Accademia Rossiniana, che si è confermata come uno dei mezzosoprani emergenti nei ruoli rossiniani professionale nel suo doppio ruolo tra affetti e passioni. Il bel colore scuro e l’emissione fluida e sicura hanno consentito al mezzosoprano trentino di esprimere al meglio il carattere del personaggio.

Collante di tutto è stata la precisa direzione di Paolo Arrivabeni, che con equilibrio, alla testa dell’Orchestra Filarmonica Rossini, ha condotto il tutto con armonia e precisione in un giusto equilibrio tra orchestra e palcoscenico tenendo presente assieme agli interventi del coro, del Teatro della Fortuna M. Agostino (maestro Mirca Rosciani), altro protagonista dell’opera per la parte attiva in scena a cui era stato chiamato.

Un vero trionfo dove anche un regista Davide Livermore, a sottolineare la piacevolezza di uno spettacolo che se individuata la chiave di lettura, mancando nel programma le note di regia si va ad intuizione, risulta leggero, piacevole da vedersi capace di stupire con trovate illusionistiche e effetti scenici come la riuscita incendio del teatro a fine Atto I. Costumi di inizio ‘800 creati dall’Accademia di belle Arti di Urbino, coordinati da Paola Mariani, e giochi di luci di Nicolas Bovey, completano gli artefici di questa riuscitissima produzione

Si replica il 15, 18 e 23 agosto.

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Laureata in Filosofia all'Università di Bologna e curatrice degli archivi comunali di Riva del Garda, ha seguito un corso di specializzazione in critica musicale a Rovereto con Angelo Foletto, Carla Moreni, Carlo Vitali fra i docenti. Ha collaborato con testate specializzate e alla stesura di programmi di sala per il Maggio Musicale Fiorentino (Macbeth, 2013), Festival della Valle d'Itria (Giovanna d'Arco, 2013), Teatro Regio di Parma (I masnadieri, 2013), Teatro alla Scala (Lucia di Lammermoor, 2014; Masnadieri 2019), Teatri Emilia Romagna (Corsaro, 2016) e con servizi sulle riviste Amadeus e Musica. Attualmente collabora con la rivista teatrale Sipario. Svolge attività di docenza ai master estivi del Conservatorio di Trento sez. Riva del Garda per progetti interdisciplinari tra musica e letteratura. Ospite del BOH Baretti opera house di Torino per presentazioni periodiche di opere in video.

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