XII Festival Vicenza in Lirica, Teatro Olimpico, 14 settembre 2024, ore 20:30
La Cenerentola, ossia la bontà in trionfo
Dramma giocoso in due atti
Libretto di Jacopo Ferretti
Musica di Gioacchino Rossini

Don Ramiro Luis Magallanes
Dandini Carlo Sgura
Don Magnifico Gianpiero Delle Grazie
Clorinda Silvia Porcellini
Tisbe Caterina Dellaere
Angelina Magdalena Urbanowicz
Alidoro Huigang Liu

Regia Bepi Morassi
Orchestra dei Colli Morenici
Direttore Alessandro Vitiello
Coro VOC’è
Maestro del coro Alberto Spadarotto
Scene, costumi e luci a cura della Scuola di Scenografia e Costume dell’Accademia di Belle Arti di Venezia
Scene Bruno Antonetti
Costumi Anna Fabris e Ester Campagnaro

Per la dodicesima edizione del “Vicenza in Lirica”, nella magnifica cornice del Teatro Olimpico, il 14 settembre va in scena “La Cenerentola” di Rossini. Il dramma giocoso rossiniano porta così a conclusione il festival, che quest’anno prende il titolo “… Va volando leggera”, coronando con un allestimento comico e immaginifico il modello di leggerezza comunicativa, su cui si fonda l’edizione vicentina 2024. I cantanti sono stati scelti al Concorso Tullio Serafin ed. 2024.

Foto di Edoardo Scremin

La regia di Bepi Morassi sottolinea la dimensione comica dell’opera, dando risalto al clima fiabesco e al travolgente intreccio che caratterizzano la costruzione musicale. L’apparato scenico, ad opera di Bruno Antonetti, si serve principalmente di tre imponenti bauli, che via via svelano ambienti e personaggi, divenendo il mezzo di realizzazione di un gioco teatrale, a metà strada tra illusionismo e musical. Gli elementi sulla scena (un’imponente cassa centrale e due portabiti laterali) si trasformano così da palcoscenico a tavolata, da armadi a pareti adornate da ritratti. Con ordinate coreografie, figuranti silenziosi ma sempre espressivi ora spostano, ora scompongono i voluminosi bauli, mutando gli ambienti a sipario alzato. E, nonostante i complessi cambi a scena aperta possano talvolta rallentare il progredire della vicenda, sembrano divenire essi stessi il tramite di un’atmosfera surreale.
Semplici artifici scenici contribuiscono poi a realizzare uno straniamento fortemente ironico: per svegliare Don Magnifico, Clorinda e Tisbe aprono un cassetto del gran baule centrale, che svela il letto del barone; ancora, Alidoro con il suo “codice delle Zitelle” compare da una botola del cassone, le cui ante poi si aprono a rivelare la cantina del principe. Rimandi al mondo cinematografico e teatrale contribuiscono al clima delicatamente fiabesco; ne sono un esempio le movenze dei cavalieri che annunciano l’arrivo del principe, i volantini offerti al pubblico per divulgare l’ordine del barone-cantiniere e i biglietti distribuiti per il matrimonio di Cenerentola e del principe. Perfino i costumi di Anna Fabris ed Ester Campagnaro, dal sapore novecentesco, esaltano con grottesca ironia i tratti buffi dei personaggi: Clorinda e Tisbe sfoggiano ingombranti e stravaganti abiti che contrastano con le vesti di Cenerentola, prima semplici e dalle tinte spente, poi eleganti e sofisticate. I gesti esagerati, con frequente ricorso al “fermo immagine”, l’uso delle rose all’ingresso di Dandini travestito da principe e il ricorso a giochi di luce (qui una torcia che illumina i personaggi confusi per il complesso intreccio della vicenda) possono sembrare lievi accenni allo storico allestimento di Ponnelle (ripreso alla Scala nel 1973, con la direzione di Abbado). Tuttavia, a chi scrive pare che più che puntare al ponnelliano equilibrio tra umorismo e realismo, l’intento della regia della Cenerentola vicentina sia quello di valorizzare il gioco di maschere e trasformazione che anima l’avviluppata vicenda.

Foto di Edoardo Scremin

Se l’allestimento si concentra sull’astrazione del comico, dai toni immaginifici, la destrezza scenica degli intrepreti dà vita a un vero caleidoscopio di immagini. Sul palco le movenze ironiche e grottesche di Don Magnifico, Clorinda, Tisbe e Dandini convivono con i tratti psicologicamente significanti e sinceri messi in scena dalla malinconica Angelina e con l’intensità del sentimento che lega la protagonista e Don Ramiro. Il mezzo-soprano Magdalena Urbanowicz è una Cenerentola dal timbro vellutato e ambrato, che rende poetiche le pagine più liriche come “Una volta c’era un re” e “Ah Signor”. La linea di canto può apparire talvolta poco fluida, nelle complesse prove d’agilità della partitura rossiniana, e la voce non riesce sempre ad emergere nei pezzi d’assieme, ma la delicata Angelina dà prova di sfaccettate colorature, che ben ritraggono grazia ed eleganza della protagonista. Nell’interpretazione dell’Urbanowicz convivono innocenza e fierezza, ben declinate nella vicenda per cesellare l’evoluzione del personaggio, premiata al termine con il trionfo della bontà. Luis Magallanes dona a Don Ramiro pregevoli qualità timbriche. La voce chiara e l’emissione limpida hanno davvero “un soave non so che” capace di conquistare gli ascoltatori. Il tutto abbinato a una recitazione sincera di principe amoroso e appassionato. Carlo Sgura tratteggia con vivacità e ironia uno spassoso Dandini. Huigang Liu interpreta con autorevolezza Alidoro, sapendo anche partecipare alle gag della compagnia di canto, pur senza nuocere al carattere serio e nobile del personaggio. Don Magnifico è Gianpiero Delle Grazie. Con la disinvoltura scenica degna di un basso buffo di tradizione, delinea con briosa comicità il barone, dando prova di espressività sarcastica tanto nel canto quanto nel gesto e nella mimica. Spassose la Clorinda di Silvia Porcellini e, soprattutto, la Tisbe di Caterina Dellaere, della quale si apprezzano la dote caricaturale e la frizzantezza con cui disegna la frivola ma divertente sorellastra. Alessandro Vitiello guida l’Orchestra dei Colli Morenici con raffinata precisione, sostenendo il canto con un’energica e ben misurata carica vitale. Nel rispetto della partitura del pesarese, la bacchetta di Vitiello trasmette infatti l’avvicendarsi di limpida eleganza e vivacità ritmica tipiche della linea rossiniana. Lo stacco dei tempi appare poi attento alle esigenze della compagnia di canto. Similmente, il coro VOC’è preparato da Alberto Spadarotto, pienamente immedesimato nella scena, contribuisce con allegria alla dimensione ironica dell’allestimento, offrendo un suono generalmente ben coeso. Al termine, il fragore del numeroso pubblico premia tutti gli interpreti e gli artefici dello spettacolo.

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