Bergamo, Teatro Donizetti, 15 novembre 2024, ore 20.00
Donizetti opera 2024
ROBERTO DEVEREUX
o Il conte di Essex
Tragedia lirica in tre atti di Salvatore Cammarano
Musica di Gaetano Donizetti
personaggi e interpreti
Elisabetta Jessica Pratt
Il duca di Nottingham Simone Piazzola
Sara Raffaella Lupinacci
Roberto Devereux John Osborn
Lord Cecil David Astorga
Sir Gualtiero Raleigh Ignas Melnikas* (allievo Bottega Donizetti)
Un famigliare di Nottingham e Un Cavaliere Fulvio Valenti
Orchestra Donizetti Opera
Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Stephen Langridge
Scene e costumi Katie Davenport
Luci Peter Mumford
Regia Animazione Pupazzo Poppy Franziska
Nuovo allestimento della fondazione Teatro Donizetti
in coproduzione con il Teatro Sociale di Rovigo
Bergamo, 15 novembre 2024
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti in coproduzione con il Teatro Sociale di Rovigo
ph. Gianfranco Rota

Danza di morte per Roberto Devereux, conte di Essex: potrebbe essere il sottotitolo a questo allestimento proposta dell’opera donizettiana per il Donizetti Opera 2024, titolo più rappresentativo del ciclo inglese di Gaetano Donizetti con il quale raggiunse nel 1837 uno dei momenti più gloriosi della sua carriera musicale. Morte che aleggia sul palcoscenico del Teatro Donizetti allestito in maniera essenziale e cupo da Katie Davenport (suoi anche i costumi in stile d’epoca che contrastano con il nero dell’ambientazione) con la regia Stephen Langridge, direttore artistico del festival di Glyndebourne.
In un angolo del palcoscenico è allestivo una specie di altarino dove tra fiori, candele e clessidre (iconica rappresentazione del tempus fugit) spiccano  teschi come, con un teschio, è decorata la ricca veste di Elisabetta e, raffigurante uno scheletro stile memento mori ma riccamente addobbato, alterego di Elisabetta, il pupazzo in grandezza naturale di Poppy Franziska che interagisce con il doppio muto di Roberto Devereux e dominante nella sequenza finale, manovrata dai burattinai Noemi Giannico e Matteo Moglianesi, silenziosa estensione onnipresente della morte. Una morte che riguarda la vita ed il potere, vicenda pubblica e vicenda privata. “Chi regna, non vive per sé” proclama il coro, ma Elisabetta, nella prima grande opera di Donizetti, sembra non voler scendere a compromessi: “non regno… non vivo”.
Morte che sovrasta la cupa trama dell’opera visto che è segnata fin dall’inizio la sentenza capitale che Elisabetta destina al suo favorito conte di Essex, poeta, le cui poesie scorrono sul fondale del teatro, accusato di alto tradimento, che finì decapitato nel 1601.

Una sentenza firmata tra dubbi e angosce tra ragion di stato e affetti, come altre sentenze mortali che hanno contrassegnato il suo regno che contribuirono a renderlo potente e sicuro ma a isolare la regina dal mondo degli affetti. Del resto è memorabile la scena finale su quei versi di Cammarano, Quel sangue versato….mirate quel palco di sangue rosseggia. E’ tutto il sangue il serto bagnato.. uno orrido spettro percorre la reggia, che esplicato proprio il mondo regale di Elisabetta.
Questo è la miglior sintesi di questo produzione del donizettiano Roberto Devereux. Quella del conte di Essex, fu una vicenda che entrò nel panorama delle teatro drammatico romantico attraverso vari adattamenti ma principalmente con il dramma originale francese del 1829 di J.F. Ancelot dedicato a Elisabetta che fu il modello per Salvatore Cammarano vicenda che di fatto conclude il ciclo del Tudor avviato da Donizetti con Elisabetta al castello di Kenilworth, Anna Bolena e Maria Stuarda.
L’opera è titolata al maschile, ma la vera protagonista è Elisabetta d’Inghilterra. Siamo nel 1837, al Real Teatro di San Carlo di Napoli, e Gaetano Donizetti regala una parte eccezionale a una delle sue interpreti più amate e geniali, il soprano Giuseppina Ronzi de Begnis, la sua “musa nera”, specialista in personaggi femminili tormentati, violenti che necessitano di ampio spettro vocale (a quei tempi fu Donna Anna nel mozartiano Don Giovanni come interprete consolidata della Norma belliniana).
Questa produzione bergamasca è stato fortemente voluta dal direttore musicale Riccardo Frizza, anche per riaccendere un faro sul Donizetti più romantico e drammaticamente strutturato, parte ormai del repertorio consolidato ma che ha sempre bisogno di un assestamento filologico e interpretativo più che corretto. Ma è un titolo che necessita di voci carismatiche capaci di fissare l’elemento tragico e umano di una vicenda di potere che per la protagonista è resa da una scrittura vocale drammatica ma non cedente nei colori cupi, ma essenzialmente capace di sfumature e di eseguire la coloratura con agilità come sostiene Riccardo Frizza, direttore dell’allestimento, nel ricco programma di sala.

La scelta del cast è stata fondamentale per il completo successo di un melodramma anche drammaticamente e musicalmente compresso oltre che complesso in cui è dominante la presenza del soprano Jessica Pratt, debuttante, nel ruolo di Elisabetta con accanto il mezzosoprano Raffaella Lupinacci, quale Sara, moglie del duca di Nottingham, questi il baritono Simone Piazzola, mentre nel ruolo eponimo di Devereux la parte era affidata al tenore americano John Osborn.
Scelta la prima versione napoletana del 1837 che non presenta il preludio sinfonico ed entra direttamente nel vivo del dramma con la presenza di Sara, moglie del duca di Nottingham ma con legame d’affetto al Devereux fin da bambini quando i giochi infantili supportavano trame di potere. Il regista gioca su questo equivoco e ci presenta una Sara in stato di gravidanza, ma non si sa da chi: un letto in scena o sovrastante l’accompagna nelle sue entrate in scena. Se ne prende atto.

Tra l’altro Sara cita nella sua introduzione un personaggio storico inglese medievale che sarà protagonista di un’altra opera donizettiana del 1834, Rosmonda d’Inghilterra, anche questa passata sul palco bergamasco nel 2016 con protagonista proprio Jessica Pratt. Il resto scorre tutto velocemente tra arie e scene d’assieme che divampano di invettive o di rassegnazione, dove il coro, qui diretto da Salvo Sgrò, dell’Accademia del Teatro alla Scala funge da parte narrante e da didascalia agli avvenimenti in scena.
In due parti è stata suddivisa la rappresentazione, che costituiscono due momenti di resa della gestione dell’opera. Si è assistito nella prima parte ad conduzione prudente dell’opera con una gestione attenta e molto modulare delle sezioni orchestrali da parte di Frizza, attento a definire un impianto melanconico e decadente piuttosto che lasciar prevalere gli slanci romantici che pregnano il corso dell’opera per lasciarli espandere nella seconda parte. Il mezzosoprano Raffaella Lupinacci si presenta già sicura nel delineare il suo personaggio di Sara vocalmente e attorialmente definito con una sua evoluzione della linea di canto dapprima in cui le si richiede i suoi cupi e profondi suoni di mezzosoprano per poi arrivare agli slanci acuti nel duetto con il Devereux o tra le invettive con il consorte. Espressivo il duca di Nottingham di Simone Piazzolla più a suo agio nella seconda parte nel suo doppio confronto con Elisabetta e la consorte Sara che ha reso l’ambiguità ma anche fedeltà alla corona con una linea di canto austera e d’autorità.

Nel ruolo di protagonista il tenore americano John Osborn che ha delineato un personaggio generoso e intenso ma al contempo con una linea di canto delicata nel delineare il suo dramma interiore come i suoi affetti specie nel duetto con Sara a conclusione della cabaletta dell’atto I.
Sufficienti le prestazioni di Lord Cecil David Astorga, Sir Gualtiero Raleigh Ignas Melnikas* (allievo Bottega Donizetti) e Fulvio Valenti nei due ruoli di famigliare di Nottingham e Cavaliere .
Attesissima nel suo di Elisabetta il soprano Jessica Pratt in un ruolo che gli richiedeva una nuova dimensione vocale, diversa da quella in cui ci ha abituato, definito dalla sua facilità negli acuti e alle agilità con virtuosismi vocali tenuta vocale negli assiemi e nel contempo morbidezza di fraseggio. Qui doveva cimentarsi con più spinta drammatica verso la zona grave del canto, gestire invettive con affondi di petto e nel contempo tenersi pronta ai momenti a lei più congeniali dove il canto può svettare. Si è mossa con prudenza e attenzione, cercando di posizionarsi nelle zone di canto a lei più congeniali dove possibile specie nel primo atto dove la struttura a cabaletta evidenziata in Ah Ritorna qual ti spero conserva tutti quei passaggi sia di agilità che di acuti a conclusione nel duetto con Devereux.

Roberto Devereux, ph. Gianfranco Rota

O nell’imporsi di autorità nel confronto con Notthingam, e il successivo passaggio con Devereux Alma infida, ingrato core dove la voce più piegata verso le zone più charoscurali del canto dove riesce a  fa emergere anche a sua propensione ad un linea espressiva più spinta, come nell’ assieme conclusivo del secondo atto. Generosa nel delineare una Elisabetta, avvolta di malinconica solitudine, piuttosto che regale, culminata con l’atto finale e conclusiva, nel mettere in discussione le sorti del suo regno disvelando il suo volto disfatto, Quel sangue versato che costituisce il punto di arrivo di tutto il percorso musicale  della vocalità donizettiana, una conclusione netta e disperata. Finale che è stata accolto da un pubblico in delirio con 10 e più minuti di applausi scoscianti ed ovazioni per tutti gli artefici della produzione ma da tutti un abbraccio alla disvelata Elisabetta.

 

 

 

 

 

 

 

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