Merano – Kursaal lunedì, 14.09.2020 ore 20:30
Krista Posch – Signum Quartet
100 anni di Franz Kafka a Merano
Le lettere meranesi di Franz Kafka a Milena.
Musica di Erwin Schulhoff, Alfred Schnittke, Léos Janácek, Thomas Adès, Charles Ives
Florian Donderer, Violine-Violino
Annette Walther, Violine-Violino
Xandi van Dijk, Viola
Thomas Schmitz, Violoncello
Nella tarda primavera, da aprile a fine giugno, del 1920, Franz Kafka soggiornò a Merano, in una realtà politica che aveva visto frantumarsi l’impero Asburgico: Kafka era cittadino di una nuova nazione, la repubblica Ceca, la città del Passirio non era più Tirolo, ma si approntava ad appartenere ad un’altro stato. Nella lettera del 5 luglio a Milena descrive le peripezie ai confini tra Austria e Cecoslovacchia incontrati nel viaggio di ritorno alle prese con le dogane che non riconoscevano il suo visto. Nel complesso della sua corrispondenza, non esiste alcun cenno ai cataclismi politici in atto, che denota una complessa estraneità della realtà che lo circonda, in un’ ottica di uso dell’epistolario solo come realtà di comunicazione con gli amici e famigliari. Lo scorrere del tempo e degli eventi è segnato dal progresso della sua malattia polmonare, condizione fisica che lo porterà a muoversi, dalla nativa Praga, ancora nei primi anni del ‘900, alla ricerca della salubrità dell’aria nelle varie località di villeggiatura dell’Impero.
Franz Kafka e Max Brod a Riva del Garda
(1908)
Spostamenti che lo porteranno nel 1909 e nel 1913 a Riva del Garda, allora importante centro di soggiorno e turismo alla periferia meridionale dell’Impero d’Austria, presso la struttura idro-elio terapica del medico di Vienna Christoph Hartungen, che ebbe ospiti anche i fratelli Heinrich e Thomas Mann e altri illustri personalità del mondo culturale germanico). Il suo racconto “Il cacciatore Gracco” ambientato sul lago a Riva con la citazione del Sindaco della cittadina che raccoglie il testamento del protagonista della breve novella, documenta come la corrispondenza con Max Brod e con la sorella Ottla segni lo scorrere delle giornate in quei periodi di “convalescenza”.
Merano ha voluto ricordare il centenario di questa presenza, con la collocazione all’interno di Meranofestival, di un evento fatto di letture e musica. L’affermata attrice bolzanina Krista Posch legge alcuni passi delle lettere che Kafka scrisse alla fidanzata Milena Jesenská durante il soggiorno nella città del Passirio. Le sue parole sono accompagnate da un collage di musica in cui la lingua – come nel melodramma –diventa uno strumento. Quanta musica si cela nei testi kafkiani? Partendo da tale quesito, il Quartetto Signum scandaglia a profusione la letteratura per quartetti del Novecento, spaziando da Janáček ad Ives, senza tralasciare quell’Erwin Schulhoff che probabilmente, nelle strade della sua città natale di Praga, avrà incrociato almeno una volta il grande scrittore, che aveva solo undici anni più di lui. Kafka ci riporta subito alla realtà economica di una Merano che sperava ancora di perseverare nella sua tradizione economica di città turistica. Può scegliere le varie possibilità di alloggio che la città offre, e cosi descrive come il vantaggio di alloggiare in un grande albergo “è di avere a disposizione ampi spazi vuoti, la camera, la sala da pranzo, l’atrio, e anche se ci sono dei conoscenti, ci si sente liberi”, scriveva Franz Kafka in una lettera inviata il 6 aprile 1920 alla sorella Ottla. Dal 3 al 10 aprile di quell’anno Kafka fu ospite del Grand Hotel Emma di Merano, prima di trasferirsi all’albergo Ottoburg, dove rimase fino alla sua partenza il 27 giugno.
«Se vieni da me, salti nell’abisso», scrive Kafka a Milena il 13 giugno del 1920. Un avvertimento, un ironico invito ? Un tentativo (spesso reiterato) di sedurre respingendo ? Da qualche mese, tra la pensione Ottoburg di Merano, dove lo scrittore cerca di combattere il decorso della tubercolosi, e la casa viennese di Milena Jesenská, scorre un fiume in piena di lettere, cartoline, telegrammi. Si erano conosciuti fugacemente in un caffè di Praga, la primavera precedente, quando Milena aveva iniziato a tradurre in ceco alcuni racconti di Kafka. Per lui, di madrelingua tedesca, si tratta della lingua di un «popolo», scarsamente frequentato e compreso. E senza dubbio, le traduzioni che Milena pubblica dei suoi scritti gli rivelano possibilità sorprendenti, inespresse. Come la prova che qualcuno, nel mondo, vede le stesse cose. Un fatto che per lui, che si sente l’uomo più solo del mondo, ha la natura del sovrannaturale. Soprattutto, Kafka ha la sensazione, di lancinante intensità, di aver trovato, lui che è «colpevole di tutto», una donna che lo capisce, e non lo accusa di nulla.
Tra aprile e dicembre del 1920, spedisce a Milena qualcosa come centotrenta lettere. Non è un caso se a un certo punto le affiderà anche i suoi diari: perché quella che Kafka compone con le Lettere a Milena è una vera confessione, un esercizio di verità condotto con il rigore richiesto dalle occasioni irripetibili. E il bello è che nemmeno un romanziere avrebbe potuto inventare una figura femminile secondo tutte le apparenze non adatta a Kafka come la sua traduttrice. Di famiglia cristiana, figlia di un famoso chirurgo praghese, colta e insofferente delle convenzioni bigotte del suo ceto, Milena era quello che si dice una persona libera, e a ventiquattro anni già si portava sulle spalle il peso di molti errori ed illusioni. Si era trasferita a Vienna, dove faceva la fame (o quasi) bandita dalla famiglia, che non le aveva perdonato il matrimonio con un ebreo, lo scrittore Ernst Pollak, anche lui di Praga, ben conosciuto da Kafka, vivendo praticamente di espedienti. Milena incarna, ai suoi occhi, l’impossibilità della vivibilità della vita. Le lettere a Kafka di Milena non si sono conservate, ma ne bastano un paio a Max Brod, l’amico fedelissimo, e il necrologio pubblicato nell’estate del 1924 per intuire quanto a fondo Milena, nonostante tutta la selva di ostacoli, avesse compreso e accettato quell’uomo nella sua irriducibile solitudine. «Non ha il minimo rifugio, il minimo riparo», scrive Milena a Max Brod, «per questo è esposto a tutto quello da cui noi siamo protetti. È come una creatura nuda tra creature vestite». Dopo la morte di Kafka, Milena continuò a tradurlo e a custodire le opere che le aveva affidato. Era un’ottima giornalista, e quando i tedeschi invasero la Cecoslovacchia entrò nella resistenza, aiutando a fuggire molte famiglie ebree. Catturata dai nazisti, morì nel campo di concentramento di Ravensbrück nella primavera del 1944. Molti hanno scritto su questa donna straordinaria, vera figlia del suo secolo tempestoso.
Doveroso omaggio di una città a testimoni della tormentata cultura di quegli anni di inizio secolo, travolta dalla Grande Guerra.