Pesaro, Vitrifrigo Arena, 9 Agosto, ore 20.00
Rossini Opera Festival 2022Una nuova produzione di “Le Comte Ory” ha inaugurato a Pesaro il 43° Rossini Opera Festival, nella Vitrifrigo Arena riaperta al pubblico ormai senza alcuna limitazione. È un ritorno a Pesaro in grande stile per il regista Hugo de Ana (che cura anche scene e costumi), la cui ultima messa in scena per il Festival risale al 1992, con una Semiramide che fece sensazione, ripresa poi nel 1994. A questo allestimento De Ana ha dato il carattere del vaudeville, andando alle origini pre-Rossini del titolo, quelle della commedia di Eugène Scribe e Charles-Gaspard Delestre-Poirson. Il soggetto si rifà a una ballata popolare piccarda, trascritta e pubblicata nel 1785 da Pierre-Antoine de la Place e i due scrittori ne ricavarono un vaudeville intitolato “Le Comte Ory”, dato al Théâtre du Vaudeville nel 1816. Furono gli stessi Scribe e Delestre-Poirson a ritornare sullo stesso soggetto e a scrivere il libretto per l’opera di Rossini, che porta lo stesso titolo. La commedia degli equivoci e dei travestimenti è un classico del teatro a partire dalla commedia greca e latina, questa versione della farsesca leggenda sul dissoluto conte rappresenta il paggio Isolier (peraltro parte en travesti) che progetta di travestirsi da pellegrina per ingannare la Contessa, mentre è lui stesso ingannato da Ory camuffato da eremita, che gli ruba l’idea ma è a sua volta beffato nel finale. De Ana ne ricava una farsa della durata di quasi due ore e mezza di musica e spinge ulteriormente in direzione della comicità caricando l’azione di gag, peraltro riuscite e intelligenti e, nel marasma di una miriade di colori chiassosi e scenografie ispirate al “Trittico del Giardino delle delizie” di Hyeronimus Bosch, tratta anche con arguzia i continui sconfinamenti tra sacro e profano che ne insaporiscono la trama.
“Le Comte Ory” di Gioachino Rossini fu rappresentato per la prima volta a Parigi, al Théâtre de l’Académie Royale de Musique nell’agosto del 1828; le fonti autografe, tra le quali vi è una copia manoscritta dell’intera partitura con nota di mano dell’autore, sono conservate presso l’Opéra di Parigi e presso il Fondo Michotte a Bruxelles. Buona parte della musica, circa la metà in termini di durata, proviene dal “Viaggio a Reims”, la cantata scenica composta per il Théâtre Italien (dove Rossini era direttore musicale e di scena) in occasione dell’incoronazione di Carlo X, monarca conservatore che ripristinò il rito dell’unzione nella cattedrale di Reims (1825). L’azione inizia sullo sfondo del castello di Formoutiers, in Turenna: il gentiluomo Raimbaud, amico di Ory, travestito da assistente di un eremita, esorta la giovane Alice e gli altri contadini a rendere omaggio al sant’uomo, che altri non è che il Conte Ory, inveterato libertino, che con questo stratagemma tenta di avvicinare la contessa di Formoutiers, chiusa nel castello con le sue dame come fosse in clausura, nell’attesa che il conte suo fratello e gli altri cavalieri ritornino dalla Terrasanta.
Nell’allestimento del ROF 2022 Diego Matheuz, uno degli artisti affermatisi grazie a “El Sistema” (il progetto ideato da José Antonio Abreu in Venezuela), è alla direzione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e del Coro del Teatro Ventidio Basso (preparato da Giovanni Farina) e supera brillantemente la prova, conducendo con avvedutezza la grande macchina orchestrale in un lavoro non semplice, del quale ha saputo mantenere il filo conduttore senza cedimenti. Juan Diego Flórez nei panni del Conte si conferma come protagonista di livello assoluto, ma tutta la compagnia di canto è in grado di entusiasmare la sala; brilla Maria Kataeva come Isolier, in grado di rubare la scena come il suo ruolo richiede e, nel duetto Ory-Isolier è paritaria con la sua controparte. Bene il Raimbaud di Andrzej Filonczyk, impositivo il Gouverneur di Nahuel Di Pierro, incantevole, ineccepibile, limpida e aggraziata la voce sopranile prestata alla Contessa da Julie Fuchs, validamente affiancata dal “mezzo” Monica Bacelli (Ragonde); tiene onorevolmente la scena Anna-Doris Capitelli nel ruolo marginale di Alice. Scene e costumi sono fantastici e surreali, con macchine sceniche che realizzano a tre dimensioni elementi del dipinto di Bosch, abiti dai colori chiassosi e variegati che giocano un ruolo determinante nella percezione visiva. Il coro è infatti utilizzato anche in funzione scenografica: i serti floreali e la variegata vivacità cromatica sono sia tavolozza, dove tutto si mischia, sia immagine fissata. Al tutto contribuiscono le luci, curate da Valerio Alfieri.
Risate ed espressioni divertite si levano dalla sala a fronte di trovate come una stella cometa al neon, le tavole del decalogo rette da Ory-eremita che si illuminano lampeggiando, l’entrata in scena in monopattino di Ory travestito da pellegrina nel secondo atto. Probabilmente c’è chi ha percepito il tutto come eccessivo, ma la musica c’è tutta ed è di prima qualità. E, a ben vedere, c’è poco di gratuito anche nelle trovate, che sottolineano la ciarlataneria dei tanti imbonitori oppure sostituiscono sottilmente una rappresentazione realistica, come, alla fine del secondo atto, le armature dei crociati realizzate alludendo all’Uomo di latta del Mago di Oz. Oltre ad acclamare e applaudire a scena aperta, la sala si è mostrata entusiasta e generosa nei confronti degli artisti a fine spettacolo; un vero e proprio uragano faceva vibrare l’impiantito in onore di Kataeva, Fuchs e Florez. “Le Comte Ory” di De Ana e Matheuz è un’opera da gustare, che restituisce il piacere di andare a teatro, di entusiasmarsi per bravura degli artisti e la fantasmagoria dell’apparato, sull’onda della divertita ironia e del gusto per il paradosso, tipicamente rossiniani, che danno corpo al tutto.