Salò, MUSA-Museo di Salò dal 9 aprile al 30 novembre 2022
Daniele Lievi. Carte segrete. Teatro Visioni
Una mostra ideata da Cesare Lievi e curata da Bianca Simoni.
Organizzata dal Comune di Salò. Assessorato alla cultura
A trent’anni dalla sua prematura scomparsa, e con una anteprima nel novembre del 2020 al Museo di Santa Giulia a Brescia, la mostra – organizzata dal Comune di Salò, Assessorato alla Cultura in collaborazione con il MuSa, Museo di Salò – ripercorre attraverso più di 150 opere la parabola creativa e il talento visionario di Daniele Lievi e ne documenta in modo ampio ed esaustivo la produzione, dalle sue Carte Segrete – centinaia di disegni conservati in una sorta di diario personale – fino ai materiali relativi alla sua attività di scenografo per il teatro, svolta insieme al fratello regista.
Definiti dalla stampa tedesca “Zauberer des Gardasee”, ovvero i maghi del lago di Garda, Daniele e Cesare Lievi firmarono tra il 1979 e il 1990 più di venti spettacoli tra l’Italia, l’Austria, la Germania e la Svizzera. Oggi sono raccontati in un percorso espositivo anch’esso spiccatamente teatrale che riunisce 156 opere tra Carte Segrete, tele e disegni-studi per la scena, 108 fotografie degli spettacoli realizzati, modellini teatrali e una ricca documentazione video di schizzi, appunti visivi per scene e costumi, oltre ai filmati degli spettacoli stessi.
“Carte Segrete – Teatro. Visioni” racconta il percorso artistico di Daniele Lievi, dalle prime sperimentazioni teatrali a Gargnano con il Teatro dell’Acqua fino ai successi nei grandi teatri di Basilea, Francoforte, Amburgo, Berlino, Vienna e Milano; le opere esposte rivelano il dialogo e la tensione costanti e continui tra foglio e spazio, l’intrecciarsi tra la fantasia segreta e pura della sua immaginazione e la concretezza della realizzazione scenica, tra il sogno racchiuso nei disegni delle Carte Segrete e quanto di esso rimane nella sua trasposizione teatrale. Lo spettatore, in questo modo, viene coinvolto nella lotta estenuante ma vitale tra visione astratta e necessità scenica.
Daniele Lievi, scomparso nel novembre del 1990 a 36 anni, era uno degli scenografi più genialmente inventivi della nuova generazione, specialmente affermato in Germania e a Vienna, dove da un quinquennio s’ era fatto strada sempre in collaborazione col fratello Cesare, regista. Era stato segnalato dal referendum annuale della critica tedesca su Theater Heute per le scene visionarie di Caterina di Heillbronn di Kleist, l’ apertura gioiosa del Nuovo inquilino, un collage da Ionesco, e il rigore della Clemenza di Tito mozartiana allestita all’ Opera di Francoforte. Daniele aveva iniziato a fare teatro dando vita, col fratello e il costumista Marco Braghieri, al Teatro dell’ Acqua nella natia Gargnano, dove si rappresentavano con attori locali piccoli testi di Cesare, adattamenti di classici tedeschi, e anche saggi di teatro di figura, in pratica studi figurativi di alto livello. Uno di questi, basato sul Barbablù di Trakl portò il gruppo alla Biennale della Secessione, nella Chiesa di S. Lorenzo, nell’ 84: una rivelazione che valse al complesso un Premio Ubu per la ricerca e ai suoi promotori l’ ingresso al Centro Teatrale Bresciano (Torquato Tasso e Clavigo di Goethe). Poi, alle Orestiadi di Gibellina nel’ 87, Daniele aveva condiretto col fratello Morte di Empedocle di Holderlin. Ma già la maggior parte della sua opera si svolgeva in Germania, all’ inizio specialmente a Heidelberg, dove aveva realizzato tra l’ altro le scene di La donna del mare di Ibsen e l’ ambiente italiano del Ritorno a casa di Cristina di Hofmannsthal. Il nitore classico dei suoi interni, l’ ambiguità ironica delle insolite angolazioni prospettiche, il gusto dinamico dei rovesciamenti continui aveva poi potuto manifestarlo al Burgtheater di Vienna in due stagioni dense di esperienze da Sonata dei fantasmi di Ibsen al pirandelliano Enrico IV, al Tempo e la stanza di Botho Strauss. Scenografo del teatro lirico assieme al fratello Cesare per il Teatro alla Scala di Milano con lo spettacolo inaugurane della stagione 1991 il Parsifal di Richard Wagner a cui si stava dedicando, lavoro completato dal suo aiuto Peter Laher.
Arte visiva e scenografia: in tutta l’opera di Daniele Lievi i due generi artistici dialogano, si accordano, si fondono attraverso continui rimandi, modificazioni, ricerche personali ed estetiche in un proficuo e poetico confronto tra bidimensionalità e tridimensionalità, in un percorso espositivo, anch’esso spiccatamente teatrale, che riunisce 156 opere tra “Carte Segrete”, tele e disegni-studi per la scena, 108 fotografie degli spettacoli realizzati, modellini teatrali e una ricca documentazione video di schizzi, appunti visivi per scene e costumi, oltre ai filmati degli spettacoli.
I taccuini
L’ultima sala è dedicata, su intuizione della curatrice Bianca Simoni, ai taccuini, sui quali lo scenografo-artista stendeva su carta – con annotazioni, schizzi o disegni – immagini e visioni per comunicare con i tecnici teatrali. «Nei taccuini – spiega Bianca Simoni – vediamo un coacervo di pensieri e immagini, alcuni dettati da esigenze lavorative, altri più liberi. È qui che emerge il pensiero di Daniele, fatto di concretezza, ma anche di tanta ironia».
Nei taccuini, come in ogni altra carta lasciata da Daniele Lievi, «c’è – spiega Cesare – quell’ossessione di rappresentare ogni cosa, soprattutto il pensiero, che va in qualche modo riportato alla sua figura, alla sua immagine».
Il percorso espositivo immaginato per Salò”, sottolinea Cesare Lievi, fratello dell’artista, regista teatrale e ideatore della mostra, “evidenzia l’intreccio estremamente fecondo tra l’attività artistica di Daniele Lievi, la sua operosità di pittore e grafico culminante nelle cosiddette Carte Segrete, e quella di scenografo attivo tra la fine degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta nei teatri italiani ed europei. Non si tratta al proposito – e va detto subito – di un artista che occasionalmente si dedica al teatro (cosa abbastanza consueta nel Novecento) ma di uno che fa della rappresentazione visiva su carta o tela e di quella scenica l’elemento fondamentale, il nucleo centrale della sua attività, tematizzandolo e svolgendolo con ostinazione in una serie di rimandi e corrispondenze in grado di generare una totalità frammentata e contemporaneamente compatta in cui scenografo e artista non solo si intrecciano e si compenetrano ma anche producono una figura nuova, un unico (forse senza nome) in cui la distinzione sopra citata si annulla completamente”.
Le ragioni del titolo le spiega lo stesso Cesare Lievi, nelle note per una mostra:
La realizzazione di un sogno.
Ma perchè perchè Carte segrte? A cosa alludono? Cosa dicono o tentano di dire? E soprattutto se sono segrete, perchè vengono esposte? Perche il segreto sia svelato? E se fosse così di che segreto trattano? Quale rivelazione attuano innanzi ai nostri occhi? Quali verità nascosta fanno affiorare?
Se si pongono le cose in questo modo, è chiaro che la risposta non può che essere : nessuna. Il loro segreto rimane sempre tale. Chiuso in se stesso. Sigillato. Forse addirittura custodito. E se rimandarono a qualcosa, lo fanno proponendo un altro segreto come se ogni svelamento non potesse che essere l’ostinato presentarsi di qualcosa di oscuro in una serie di infinita di rimandi e di riflessioni.
L’oggetto che tutte le Carte segrete rincorrono (ma a questo non si sottraggono neppure i disegni direttamente destinati a una realizzazione scenica e la realizzazione scenica stessa) è la rappresentazione. Le domande cui rispondono o, meglio, tentano di rispondere sono: che cosa è la rappresentazione? Fino a che punto e con quali limiti è in grado di restituire la realtà del mondo? Quanto in essa contano e lottano l’oggettivo e il soggettivo? Quale rapporto di verità e mistificazione, superficie e profondità, naturalezza e artificio si instaura ogni volta che si disegna, si disponge o si scrive? E perchè desideriamo, o meglio, perchè siamo inesorabilmente spinti a rappresentare? Quale mancanza, quale assenza nel risultato ottenuto, ci costringe a ripensamenti, variazioni, rimaneggiamenti continui, spostamenti insiti nel focus, mutazioni di tonalità se non additittura di visione? Tutte domande (e l’opera di Daniele sta lì ad accertarlo) senza risposte univoche, forse senza risposte tout court, ma proposte in maniera così ostinata da suggerire ch la rappresentazione sia forse il segreto cui alludono, il mistero attorno cui si arrovellano nutrendo un’ossessione inesausta cui l’artista non può o nn vuole sottrarsi.
L’essenza del Teatro raffigurato è questo creare una idea intima degli artefici spetterà allo spettatore codificarlo e renderlo comprensibile a se stesso. Questo è il rito del teatro.
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