– Rotta nel 275, avanti due quarti, profondità 140.
Ci rimane quasi trenta miglia da percorrere, inaspettatamente Jones cambia radicalmente i nostri piani, eravamo puntati verso I Jambow Jane, quando:
– Segnale nel 260, rotta nel 180, distanza 30 miglia, velocita 6 nodi, profondità 050, firma sonar; The Bankrobber quattro schedati. Annuncia Jones.
– Sono nella stessa zona ovviamente, ma sono più vicini che I Jambow Jane. Jones tienimi d’occhio i due segnali e mettimi l’interferometro in funzione.
– Aye aye sir!
– Capo? Fammi parte della nostra doppia scoperta a l’Intel e chiedimi un dossier sui due rilevamenti.
Rotta nel 220, profondità 050, occupiamoci di Jambow Jane dopo.
Siamo a passo di senatore per raggiungere il nostro obbiettivo, e il rumore del telex mi dice che fra poco il Capo centrale verrà a farmi due chiacchiere. E sempre metodico e guardarlo preparare il suo reso conto è anche divertente, la matita gialla taglia nella massa di informazioni, il suo gommino balla nell’aria, il blocco accoglie le foglie di telex e annotazioni varie… Lui si avvicina.
– Allora, ancora un cambio di formazione dall’album “Missing” ritroviamo Giacomo Oberti al canto, basso e chitarra, Maddalena Oberti al canto e tastiere, loro firmano tutti testi e musiche. Nuovo schedato; Neri Bandinelli alla batteria raggiunge il gruppo, ha fatto qualche tour europei con la formazione quindi è già un po’ della famiglia. Il terzo schedato e Edoardo Omezzolli dei Toolbar che si incarica della registrazione e della produzione dell’album insieme a Giacomo. Il missaggio e master dell’album è a carico di Michele Guberti al Natural headquarter studio di Ferrara. “Carry me on” primo single dell’album esce in giugno 2021. Il quarto schedato è Stefano Beretta batterista dei Bankrobber per l’album “Missing” che presta le sue bacchette per la canzone “Leash died”, batteria registrata al Vip studio di Arco, la traccia è uscita come single in gennaio 2022. “White skin” è il terzo single tirato dall’album ed esce con il suo video in aprile 2022. L’album completo esce in Novembre 2022. Il tutto è impacchettato per la Vrec records, distribuito da Audioglobe…. mi sembra sia tutto.
– Capitan, il segnale dei Jambow Jane sta indebolendo, sono adesso a profondità 170 e scendono ancora, 2 metri al minuto.
– Hmm… Questo vuole dire che l’album non è ancora pronto di uscire, magari data posticipata, chi lo sa? Secondo? Oltrepassiamo i Bankrobber. Andiamo fino alla loro verticale e quando saremo sul loro ultimo rilevamento, lascia un gavitello di fondo, che non le perdiamo d’occhio… Poi ci attacca dietro i Bankrobber come lei sa fare.
– Aye aye sir.
– Scanner, Doppler, Spettrometro, Decoder Audio Cominciamo!
I Bankrobber cantano la loro pop fresca in inglese. Lo stile generale della band non è cambiato tanto, ma molte canzoni galleggiano in atmosfere leggere e melodiche, ma un po’ triste. L’album descrive un fine amore attraverso tutti suoi testi. Mi manca il basso di Andrea Vilani, un po’ più messo avanti e spinto verso partiture leggermente più complesse. Le evoluzioni delle band portano cambiamenti ed è inevitabile.
“Leash died (shouldn’t cry)” e il suo video plastificato apre l’album, questo brano è principalmente bassato sulla batteria coniugata ad un basso al suono ammorbidito e delle tastiere che assorbano tutta l’attenzione dell’uditore. Note insonne ne passiamo tutti, a chiederci cosa ci passa per la testa per rimanere sveglio. Qui, una voce sformata e gocciolante di bassi, serve di coro al ritornello. Benvenuta o no questa voce sformata è fra il sogno e l’ostinazione del pensiero, fra il sonno ricercato e l’ammarezza di una separazione.
“White skin” è una canzone ballante leggermente ancorata nell’atmosfera della tradizionale serata dei Proms nei filmi americani per adolescenti. Piccolo momento di gloria per pochi, che non può rappresentare l’importanza descritta, come una cima nella vita, ma rappresentata come un importante tappa per un adolescente. Qui, un suono di tastiere scappato dagli anni 80 cammina su un basso che distilla le ottave in un modo ossessivo. Mi manca la tua pelle, tu che non prendi il sole…
C’è un chiaro cambio di stile su “Always wrong”; due chitarre dialogano su un ritmo meccanico e sintetico. Di un colpo questo esercizio di stile accaparra l’attenzione. C’è dell’Edoardo Omezzolli qua sotto, non ho dettagli sulla registrazione, ma solo dal naso, posso essere confidente a scrivere questo. Molto interessante il richiamo di poche parole di “White skin” che tornano come un leitmotiv due volte, prima del terzo minuto e nel finale, come un’auto-plagio commemorativo.
“Kill my name” si distacca leggermente della pop di serie e propone un angolo interessante di trattare un soggetto, su un’altra linea di basso sintetico, che distribuisce le ottave alla catena. La voce si tinge di accenti metallici e si disperde nella riverberazione sul ritornello, per creare un distaccato dal resto della composizione. La traccia è il dominio delle tastiere. Il testo è amaro “Tell me I can replace your face, It’s a beautiful day WITHOUT you”.
“Garden of Bones” ci porta verso della bella pop melodica, illustrata dal coro discreto di Maddalena, che punteggia giustamente di “uh uh uh uh uh uh” i ritornelli. Una linea di basso accentua di contrattempi il retro scena, una chitarra discreta distilla qualche frase in margine dei versi. Il risultato finale mi sembra impacchettato più che bene.
Ritmo lento e anatomicamente dettagliato per “Bury me softly” articolato intorno ad una conversazione fra Giacomo e Maddalena, che si incarica della meta dei versi.  Il brano esce come single solo su spotify nel 2022. Ritroviamo con piacere la presenza più melodica della voce di Maddalena, mentre Giacomo rimane quasi più robotico nei versi, seguendo sillaba a sillaba, il ritmo. Questo offre un franco contrasto nel dialogo, che rialza i vocali femminili. Ancora una bella canzone. Questo album inizia a piacermi seriamente.
“Hate me” si veste di chitarre al suono quasi punk e nervose, ma leggermente arretrate, su questo ritmo programmato, affiancato ancora da un basso robotico, che appare alternativamente allungo il brano. Una seconda chitarra acuta e alta segue le sue orme e incrementa l’aspetto agitato della canzone, che sembra composta di suoni brevi, meccanicamente depositati sulla linea tesa del suo sviluppo. La voce appare come un’entità organica, flessibile ed elastica, sorvolando la rigidità geometrica dell’insieme.
“Guns of Grace” si campa su un ritmo soffice ed è più etereo e vaporoso. Introdotto da nappe di tastiere e dalla voce di Maddalena. Ancora una volta, la combinazione delle due voci ritiene l’attenzione e solleva il ritornello. Un rapper a l’accento esagerato appare dopo una prima sfumatura per rilanciare il pezzo. Per rimanere fedele al titolo del brano, il ritmo include un campionamento di un’arma da fuoco, nel finale della canzone.
Dobbiamo aspettare la precisa meta della canzone “I see the moon” per sentire un ritmo definito. La prima parte è quasi esclusivamente dedicata alla voce e la chitarra di Giacomo, solo una percussione sintetica e arretrata appare elusa, nel secondo verso. La seconda parte della canzone è sollevata da una rullante chiara e sintetica completata da tastiere che passeggiano sopra il canto. Chitarra ritmica e basso rimangono ancora meccanicamente composte di ottave metodiche, ma combinate giustamente.

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