11 Giugno, ore 21.00 – Teatro Olimpico
9 Giugno (generale aperta al pubblico)
Ecuba di G.F. MALIPIERO
Ecuba Yuliya Pogrebnyak
Polissena Laura Polverelli
Una servente Graziella De Battista
Ulisse Paolo Leonardi
Taltibio Patrizio La Placa
Agamennone Michele Soldo
Polimestore Bruno Taddia (sostituisce Alberto Mastromatino, indisposto)
Orchestra di Padova e del Veneto
Direttore Marco Angius
Coro Iris Ensemble
Maestro del coro Marina Malavasi
Esecuzione in forma di concerto
Non ho partecipato alla rappresentazione di Vicenza, ma piace sapere che è stata accolta con grande successo dal numeroso pubblico presente al Teatro Olimpico di Vicenza. La direzione artistica di Andrea Castello ha proposto in forma di concerto Ecuba, opera in tre atti di Gian Francesco Malipiero, amico di Tullio Serafin, che la diresse in prima assoluta al Teatro Reale dell’Opera di Roma nel 1941, per il progetto ideato da Concetto Armonico Malipiero, Callas, Serafin maestri del ‘900.
Una scelta non conforme, ambiziosa e audace, quella di presentare a Vicenza in Lirica un partitura del Nocecento Italiano pressochè sconosciuta ai più.
Era dalla prima esecuzione, avvenura l’11 gennaio del 1941 che non veniva presentata in pubblico, situazione condivisa con tante composizoni del Novecento Italiano. Forse non rappresentati perchè elementi di un passato culturale imbarazzante o non particolarmente scritta in forme d’avanguardia?
Eppure Malipiero, come Casella, Respighi e Pizzetti, assieme a Ghedini furono protagonisti di iniziative musicali volte ad internazionalizzare e rinnovare il linguaggio in ogni settore compositivo, come nella riscoperta di capitoli del passato musicale italiano. Malipiero fu uno dei principali artefici della Corporazione delle nuove musiche fondata nel 1923 che proponeva modelli compositivi che permettessero di andare oltre lo stile lirico italiano, che potessero confrontarsi a pari livello con le avanguardie storiche tedesche e francesi.
Tullio Serafin, come direttore d’orchestra, era parte di questo mondo culturale musicale italiano, direttore artistico del Teatro dell’Opera di Roma, in equilibro costante tra tradizione e modernità, con radici ben salde nell’arte del bel canto italiano ma aperto al rinnovamento musicale internazionale proponendo sui palcoscenici italiani progetti musicali che comprendevano l’allora modernità, da Richard Strauss a Stravinskij. Ma andò oltre quello che furono le consuetudini di ascolto del pubblico italiano. Memorabile fu la sua esecuzione all’Opera di Roma nel febbraio del 1942, in lingua italiana, del Wozzeck di Alban Berg, con protagonista Tito Gobbi, baritono che fu anche interprete dell’allestimento dell’Ecuba di Gian Francesco Malipero del 1941 diretto da Tullio Serafin.
Tullio Serafin – Luigi Pirandello e Gian Francesco Malipero
Questa composizione di Malipiero però si colloca in una fase di declino della ricerca di rinnovamento musicale italiano, parte di un ripiegamento interiore e di riflessione su una sorta di fallimento di qualsiasi altro modello che andasse oltre lo stile della melodia lirica e dopo una fallimentare collaborazione con Pirandello nella messinscena della Favola del Figlio cambiato del 1934, dapprima in Germania e poi a Roma, che fu accolta con aspre critiche per la sua scrittura frammentata e per la tematica onirica e fantastica. Malipiero si allontana dalle prospettive di innovazione con un rifiuto radicale del mondo della sua contemporaneità, esponendosi il meno possibile alla polemica ritirandosi in specie di mondo mitico classico, espresso attraverso modelli compositivi più eterei e simbolici. In Ecuba, dalla tragedia di Euripide, questo mondo onirico e metafisico doveva essere rappresentato dalle scenografie di Giorgio De Chirico, documentato da una corrispondenza tra Serafin e Malipiero, per essere poi realizzate da Felice Casorati come scenografo del primo allestimento realizzata dal regista Corrado Pavolini.
Proprio questa componente immaginifica gioca un ruolo decisivo fin dalla prima scena che si apre appunto con un sogno premonitore. Nelle note di programma, il direttore Marco Angius, a cui è stata affidata la direzione a Vicenza, così descrive in sistesi l’essenza della composizone “I personaggi delineati trasformano gli eroi classici in allucinazioni sospese, sulla soglia di un mondo in rovina, irripetibile e fluttuante. Anche l’uso del coro femminile, che sigla ogni atto, è caratterizzato da una scrittura diafana e processionale, da accenti preraffaeliti, memori della lezione debussiana e della sua poetica dell’incertezza. Gli eterni ritorni della mitologia antica sono qui tratteggiati con una musica trasparente che ne riveste l’espressione verbale creando uno stile inconfondibile, dalle armonie e motivi circolari, con presenze incorporee e fuori del tempo. Nel processo di riscoperta dell’opera di Gianfrancesco Malipiero, questa tappa costituisce un momento fondamentale accanto all’esplorazione sinfonica e strumentale del grande compositore veneziano tra Satie e e le risonanze da Debussy.”
In questo ripercorrere vicende di una composioze che sembra perduta nel tempo, possono sembrare interessanti sono le note critiche del composiore Renzo Rossellini (1908-1982) , estratta dalla rivista Musica d’oggi: rassegna internazionale bibliografica e di critica (1941, n.2). “I personaggi del dramma declamano sottolineando verbalmente l’azione: un declamato che a volte si illumina di qualche scatto lirico, ma che per lungo tempo è solo metrica intonata. Un’orchestra così parsimoniosa, da sembrare appena un abbozzo di partitura, sostiene, discreta e morbida, i suoni vocali declamano, sottolineao verbalmente l’azione: un declamato che a volte si illumina di di qualche scatto lirico ma che per lungo tempo è solo metrica intonata.Nel finale atto primo un felice guizzo ritmico è quello della danza: breve pagina strumentale dinamica…Veramente magistrale l’esecuzione curata dal teatro Reale: il Maestro Serafin ha presieduto lo spettacolo con quella rigida appassionata dedizione che lo caratterizza. Concertatore autorevole egli ha dato vita ad ogni settore sonoro del palcoscenico, realizzando effetti musicali di smagliante suggestività”.
Un modo di trasmettere il testimone a chi s’adopera al recupero e alla valorizzazione di risorse storiche. Un grazie agli attuali interpreti che si sono messi in gioco per riproporre la composzione assieme alla scelta di procedere oltre le mode operate dal direttore Artstico Andrea Cappello e del suo Festival Vicenza in lirica.
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