Bergamo, Teatro Sociale, 18 novembre 2023, ore 20.00
Donizetti Opera
Lucie de Lammermoor
Opéra en trois actes di Alphonse Royer e Gustave Vaëz
Musica di Gaetano Donizetti
Prima esecuzione: Parigi, Théâtre de la Renaissance, 6 agosto 1839
Revisione sulle fonti originali a cura di Jacques Chalmeau © Ricordi
Direttore Pierre Dumoussaud
Regia Jacopo Spirei
Scene Mauro Tinti
Costumi Agnese Rabatti
Light designer Giuseppe Di Iorio
Assistente alla regia Alessandro Pasini
Henri Ashton Vito Priante
Edgard Ravenswood Patrick Kabongo
Lord Arthur Bucklaw Julien Henric
Gilbert David Astorga
Raimond Roberto Lorenzi
Lucie Caterina Sala
(Nella seconda parte sostituita dal soprano Vittoriana De Amicis)
Orchestra Gli Originali
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del Coro Salvo Sgrò
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti
in coproduzione con la Fondazione Teatro Comunale di Bologna
La cronaca di una tragedia annunciata è entrata preponderante nella prima rappresentazione della Lucie de Lammermoor di Gaetano Donizetti a Bergamo per Donizetti Opera festival 2023. Il direttore artistico Francesco Micheli ha dato l’annuncio del ritrovamento del cadavere di Giulia dopo giorni di apprensione e di appelli, uccisa dal proprio fidanzato, arrestato in Germania. Qui si tratta di un femminicidio, in Lucie /Lucia di Lammermoor di un omicidio per rivendicare una libertà di scelta da parte della protagonista nei confronti di nozze imposte e di un mondo maschile fatto di coercizione e di oppressione. La Lucia nella versione napoletana presentata, sempre a Parigi nel 1837, riscosse un grandioso successo presso il Théâtre-Italiene procurandogli nuovi incarichi che sarebbero stati Les martyrs e La favorite. La versione in francese vide invece la luce nel 1839 commissionata dal teatro privato parigino Théâtre de la Renaissance. Donizetti riadattò l’opera con opportune modifiche in base alle scarse risorse economiche e alla piccola compagnia a disposizione, su una versione ritmica francese integrata da alcune varianti, predisposta dai librettisti Alphonse Royer e Gustave Vaëz. Nulla di nuovo se non poche battute e qualche recitativo, concentrandosi piuttosto su un lavoro di taglio. Riscritti i recitativi che presentano Henry e anticipa l’entrata in scena di Arthur già al primo atto. Nella scena di entrata di Lucie, risalta l’assenza dell’intervento solistico dell’arpa e sostituita la cavatina Regnava nel silenzio… Quando rapito in estasi con l’aria dalla Rosmonda d’Inghilterra, Perchè non ho del vento. Manca inoltre il personaggio di Alisa, sostituito da quello di Gilbert/Normanno, anche nel Sestetto del secondo atto. Nuovo è il recitativo, che serve a rivelare la falsità di Gilbert, precedente il duetto Henry-Lucie, e scompare la scena fra Raimond e Lucie.
Anche nel terzo atto si evidenzia una notevole riduzione delle scene. Comincia con il coro, cui segue l’ingresso di Edgard in casa di Ashton e il lancio della sfida, a seguire l’entrata del coro nuziale. Giunge Raimond con la notizia del tragico esito delle nozze: il recitativo che precede la scena della pazzia è abbreviato, senza cadenza ma le arie restano le stesse, a parte un taglio corposo che precede la cabaletta. Due versioni diverse della stessa storia che offre il vantaggio di una concentrazione drammatica più compatta in cui emerge la solitaria figura di Lucia. Qui a Bergamo l’allestimento è stato affidato al giovane regista Jacopo Spirei, che la colloca in una modernità realistica novecentesca che, a detta del regista, toglierebbe orpelli per arrivare all’essenzialità della storia di Lucie. Belle intenzioni che si scontrano con quello che si vede sul palcoscenico che accumula situazioni (spesso già viste nelle versioni moderne) che cadono in contraddizione poi nel corso dello sviluppo. Il coro dei cacciatori (o del clan di Enrico Ashton) che va all’assalto violento di ragazze calpestate come prede da ghermire, le stesse che si trasformano poi, nel coro in festoso al matrimonio, in puttanelle disponibili ad amplessi volgarmente equivoci; una regia fatta di gestualità casuale e ammiccamenti tra i personaggi. Nella gran scena finale d’opera presente una carcassa di auto in palco su cui si accascia Edgardo sotto gli sguardi alcolizzati del coro/cortigiani nei postumi di una sbornia post festeggiamenti con tanto di bottiglie in mano e con l’intenzione di darle fuoco. Si salva la scena della pazzia condotta in maniera essenziale con la protagonista su un tavolato con coltello in mano, abbondantemente ricoperta di sangue, con il cadavere di Arthur/Arturo abbandonato in un angolo del palco, una foto sullo sfondo riprende due donne che compiono un rito sacrificale. Scene a fondale che ricreavano una spazio boschivo di Mauro Tinti mentre i costumi tra anni ’60 per l’elemento femminile, più sobri e tradizionali per gli uomini realizzati da Agnese Rabatti.
Un cast giovanile ha dato ragione a questa riscrittura donizettiana trovando un proprio punto di forza nella definizione di carattere vocale dei ruoli maschili. Bella voce, matura per la parte, del baritono Vito Priante, nel ruolo di Ashton/Enrico. Per la parte di Edgard il festival si è affidato alla voce del tenore africano Patrick Kabongo formatosi alle varie accademie rossiniane di Pesaro e di Bad Wldbad, formalmente corretto e pulito nell’emissione, ma senza aderenza alla caratteristiche di una vocalità da tenore romantico, facendo mancare quindi anche una definizione del personaggio. Nella versione francese risultano di molto ampliate, rispetto alla versione italiana e più definite nei rispettivi caratteri vocali tenorili di grazia le parti di personaggi che di solito sono definite di comprimariato: i personaggi rispettivamente di Gilbert/Normanno e Arthur/Arturo. Qui molto ben interpretati ed eseguiti dai tenori David Astorga e Julien Henric. Ridimensionato e più compressa invece la parte di Raimond/Raimondo, ma qui ben definita e credibile nell’esecuzione dal giovane basso-baritono Roberto Lorenzi, con voce piena e ben strutturata anche lui con un trascorso recente al festival rossiniano di Bad Wildbad.
Sfortunata Lucie, per l’interprete Caterina Sala, al suo debutto nel personaggio, in scena per la prima parte essendo stata costretta a dare forfait per problemi di salute. Ha saputo portare avanti un personaggio vocalmente credibile impostato sui registri più gravi ma per nulla in soggezione con l’aria di sortita del primo atto dimostrando, nonostante l’indisposizione poi annunciata, di dominare anche una tessitura acuta e di agilità. Nella seconda parte con la scena della pazzia, pur restando in scena per la recitazione, Caterina Sala è stata sostituita dal soprano cover Vittoriana De Amicis che, munito di leggio, ha preso posto sul lato sinistro della ribalta e ha saputo superare egregiamente l’ardua prova, salvo un momento di smarrimento nell’ultimo passaggio della gran scena. Musicalmente ben equilibrata la gestione di Pierre Dumoussaud, con l’orchestra “Gli Originali” che utilizza strumenti e diapason d’epoca con la dovuta attenzione a contenere alcuni squilibri della riscrittura donizettiana dove i fiati sono preponderanti.Successo pieno per tutti gli interpreti, con generalizzato dissenso per il regista, da parte di un pubblico fatto perlopiù da anziani appassionati stranieri da varie provenienze geografiche.