Milano, Teatro Alla Scala 14, gennaio 2024, ore 20
Turno Prime Opera
Luigi Cherubini
MÉDÉE
Opéra in tre atti
Libretto di François-Benoît Hoffmann
Nuova produzione Teatro alla Scala
Direttore MICHELE GAMBA
Regia DAMIANO MICHIELETTO
Scene PAOLO FANTIN
Costumi CARLA TETI
Luci ALESSANDRO CARLETTI
Drammaturgia MATTIA PALMA
Personaggi e interpreti
Médée Marina Rebeka
Jason Stanislas de Barbeyrac
Créon Nahuel Di Pierro
Dircé Martina Russomanno
Néris Ambroisine Bré
Confidantes de Dircé Greta Doveri, Mara Gaudenzi
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO ALLA SCALA
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Operazione di recupero filologico, o qualcosa di simile, per questa prima volta a Milano ,al Teatro alla Scala, della Médée di Luigi Cherubini nella versione originale francese che il compositore scrisse come opera comique per il Théâtre Feydeau nel 1797, operazione di punta della stagione 23-24, considerato anche i fantasmi che aleggiano nella sala del Piermarini quando si osano allestire titoli in cui Maria Callas fu protagonista indiscussa e, a maggior ragione, in questo anno di celebrazioni. Il soggetto fu tratto dalla tragedia di Euripide nelle sue molteplici varianti e concentra l’intera vicenda del mito di Medea attorno alla trasformazione dell’amore in odio, vendetta e assassinio, causati dal suo abbandono da parte dello sposo Giasone. Il tutto costruito in una alternanza di numeri musicali e recitazione, in un triangolo costituito da Médée/Medea (soprano), Jason/Giasone (tenore) la nuova sposa di lui Dircé/Creusa (soprano) attorno al quale si muovono Creon/Creonte (basso), Neris (soprano e confidente di Médée). L’opera al suo apparire sulle scene suscitò soltanto un successo di stima nei confronti di Cherubini e dei protagonisti di allora, mentre ottenne meritati riconoscimenti nelle rappresentazioni immediatamente seguenti in Germania e Austria, qui approntata da Cherubini medesimo.
L’opera originale si adattò al corso del tempo: i dialoghi recitati si trasformarono in recitativi composti in occasione della rappresentazione in Germania del 1855. Fu questa la versione che tradotta in italiano fu rappresentata per la prima volta in Italia nel 1909, e ripresa nel 1953 al Maggio Musicale Fiorentino diretta da Vittorio Gui con Maria Callas, protagonista. Occorre attendere il 1984 perchè la versione originale dell’opera ritornasse in scena in occasione del festival inglese di Buxton e in Italia nel 1995 al Festival di Martina Franca. Qui a Milano l’operazione di recupero è risultata parziale optando la parte musicale dell’originale francese, ma senza dialoghi, in una prospettiva originale messa in atto dal regista Damiano Michieletti. Si sono inserite ex novo parti narrate in francese a cura di Mattia Palma nelle quali si dà voce alla memoria e ricordi dei due figli di Medea, con la loro personale partecipazione al dramma. Protagonisti paralleli, integranti dell’azione drammaturgica anche in scena, sono infatti i due bambini, ben rappresentati in nelle loro azioni infantili di gioco e quotidianità, da Thomas Nocerino e Elisa Dazio. I dialoghi registrati riportano il loro punto di vista fatto di paure ma anche di fiducia nei confronti della madre che, sono sicuri, non li abbandonerà.
Questo è quanto emerge dalla visione: una dramma contemporaneo che si riflette anche nell’attualità, ma fermandosi sulla soglia della cronaca, e fa luce su quanto il mito non sia stato altro che l’esorcizzare paure e angosce dell’umanità stessa. La scritta Mamam vous aime che compare al secondo atto sulla parete che porta alla camera dei figli di Medea è la chiave interpretativa per comprendere lo spettacolo messo in atto dalla squadra del regista costruito sulle scene essenziali, salvo la presenza di una carrozzina da neonati, che restituiscono un ampio spazio asettico domestico, di Paolo Fantin, i costumi in foggia contemporanea tra abiti a giacca e doppiopetti di Carla Teti e luci algide di Alessandro Carletti. Esiste il Vello d’oro come trofeo della conquista, di cui fregiarsi, ma progressivamente tralasciato a semplice ornamento da salotto. Quella scritta si sgretola nel momento della decisione di Medea di usare l’arma della vendetta sui figli nei confronti dell’abbandono di Giasone.
Ecco che riemerge la sua essenzialità di maga, ricreando il cerchio magico di fuoco in cui crea il dono nunziale avvelenato per la promessa nuova sposa Dirce/Creusa. La conclusione è condotta in maniera fluida, non esiste azione cruenta con spargimento di sangue, tutto avviene con l’avvelenamento lento dell’affidamento al sonno della morte. Médée non fugge ma si abbandona nella sua solitudine su un divano, mentre il palazzo si sgretola avvolto tra fumi mentre la rappresentazione della disperazione è affidata a Jason nell’atto finale davanti alla porta chiusa della camera dei suoi figli.
Al centro dell’attenzione di questa produzione era il giovane e promettente direttore Michele Gamba, che di fatto sostiene una linea interpretativa fatta di essenzialità parallela a quanto succede in palcoscenico, con una rilettura che vuole restituire l’astrazione del dramma musicale del Classicismo settecentesco, nella formalità dei modelli della riforma del melodramma operata da Gluck in quell’epoca. Il risultato diretto è nella resa vocale della protagonista con il soprano Marina Rebeka nel ruolo eponimo che offre una interpretazione distaccata e astratta della linea del canto, non certamente algida ma che asseconda gli schemi della architettura formale del Classicismo musicale e dell’astrattezza formale dell’impianto registico, totalmente priva di enfasi drammatica. A lei sono andati tutti gli applausi del pubblico. Si poteva sperare in un restante cast più performativo. La Dircé del soprano Martina Russomanno, sebben corretta, non offre nulla di più, il tenore Stanislas de Barbeyrac ha offerto un Jason a tratti ingolato e con difficoltà nei salti di registro, come il Creon di Nahuel Di Pierro, che non ha dimostrato di possedere carisma vocale di un basso autorevole. Mentre nella sua parte di Néris, schiava confidente di Médée, il mezzosoprano Ambroisine Bré ha offerto un bel suo inciso. Il coro ha dimostrato di essere dotato di quell’autorità di interprete attivo, sotto la cura di Alberto Malazzi e partecipe con i suoi inserimenti non solo di contorno ma sostanziali alla trama lirica. Condivisione su tutta la linea musicale da parte del pubblico che ha esaurito la sala Piermarini; buati di circostanza più che di convinzione all’apparire dello staff registico con metà del pubblico specie della platea che si pronunciava a sostegno dell’impianto registico che, alla fine, non toglieva e aggiungeva nulla all’essenzialità dei contenuti del dramma ma che di fatto ha restituito un situazione musicalmente e teatralmente incompleta.
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