Pesaro,VITRIFRIGO ARENA, 13 agosto, ore 20.00
Adelaide di Borgogna
Dramma per musica in due atti di Giovanni Federico Schmidt
Musica di Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini, in collaborazione con Casa Ricordi, a cura di Gabriele Gravagna e Alberto Zedda
Direttore FRANCESCO LANZILLOTTA
Regia ARNAUD BERNARD
Scene ALESSANDRO CAMERA
Costumi MARIA CARLA RICOTTI
Luci FIAMMETTA BALDISERRI
INTERPRETI
Ottone VARDUHI ABRAHAMYAN
Adelaide OLGA PERETYATKO
Berengario RICCARDO FASSI
Adelberto RENÉ BARBERA
Eurice PAOLA LEOCI
Iroldo VALERY MAKAROV
Ernesto ANTONIO MANDRILLO
CORO DEL TEATRO VENTIDIO BASSO
Maestro del Coro GIOVANNI FARINA
ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI
Nuova produzione
PESARO. Il terzo titolo nel cartellone del Rossini Opera Festival di quest’anno, Adelaide di Borgogna, ha avuto la sua prima rappresentazione domenica 13 alla Vitrifrigo Arena nell’allestimento di Arnaud Bernard, che ha scelto la formula del teatro nel teatro per rendere efficacemente una storia di usurpazioni, tradimenti e scontri armati ambientata nel X secolo, sullo sfondo dell’affermarsi del Sacro Romano Impero. Convinto dell’inutilità di attuare un teatro realistico, data l’impossibilità di renderlo a tutti gli effetti credibile, il regista punta sulla leggerezza (aspetto a suo parere insito anche nel Rossini serio) e prende spunto dalla vita reale, quella di chi lavora nel teatro e si trova, durante le prove, a recitare e a vivere nello stesso luogo e nello stesso momento. Arnaud Bernard riconosce tale leggerezza nella musica stessa di Rossini, in particolare in questa partitura (una delle tante conferme del suo genio), oltre che in una certa ingenuità insita nel libretto di Giovanni Schmidt. L’ambientazione: al Rossini Opera Festival, durante le prove di un’opera intitolata “Adelaide di Borgogna”. Mentre l’orchestra suona la Sinfonia, il pubblico assiste a una scenata di gelosia tra due degli interpreti principali (i ruoli di Adelaide e di Adelberto), mentre gli attrezzisti e le altre maestranze svolgono le loro incombenze. Man mano che l’azione procede, gli episodi della vita reale si intersecano con la storia rappresentata e, se è a questo punto ragionevole che le tensioni nei rapporti interpersonali privati influenzino il lavoro, avviene anche il contrario ed è questa la sorpresa che completa il disegno, coinvolgendo il pubblico in questioni marginali rispetto alla trama e permettendogli di fruire della vicenda vera e propria da un punto di vista distaccato, partecipe ma senza un coinvolgimento effettivo.
Un esempio ne è, nel secondo atto, la riconciliazione (in camerino) degli artisti che impersonano Adelaide e Adelberto: sopraggiunge, un po’ in ritardo e affannato, l’imperatore Ottone (o meglio, la sua interprete), che nella messa in scena è promesso sposo di Adelaide e che si ingelosisce sorprendendoli in atteggiamento affettuoso. L’opera di Rossini condiziona la vita dei suoi interpreti e tra loro si instaurano nuove dinamiche; allo stesso modo, i crucci e i dilemmi che stanno vivendo li rendono tanto più credibili in scena quanto più le loro pene si riflettono nell’interpretazione, lasciando il regista estasiato e suscitando l’ammirazione delle maestranze. Un distanziamento dalla storia recitata che è di tipo brechtiano o pirandelliano, che elimina la “quarta parete”, sottolineato anche da due entrate in scena dalla platea, citazione da Pirandello ormai di utilizzo quasi universale in campo teatrale (e che ha così perso il suo effetto sorprendente e il suo significato, diventata non più che uno dei tanti artifici della routine), a nostro parere non indispensabile ma che in ogni caso non nuoce.
Il fortunato Arnaud Bernard si è trovato a lavorare con una compagnia di canto davvero strepitosa, che include virtuosi e virtuose del Belcanto; si imponeva per tutta la durata della rappresentazione la parte en travesti di Ottone, interpretata Varduhi Abrahamyan (della quale si ricordano il Malcom nella “Donna del lago” del 2016 e l’Arsace nella “Semiramide” del 2019) con costante e potente emissione, di timbro monocorde come quel ruolo maschile richiede, con una manifesta rigidità nella prima aria, condizionata dalla posa statuaria cui la obbliga il suo ingresso in scena, che si andava però stemperando progressivamente. Una volta di più Olga Peretyatko, nel ruolo del titolo, si faceva ammirare quale stella nel suo registro quantomai brillante di soprano leggero, impreziosito da un’ornamentazione di autentico stile belcantistico, strabiliante in passaggi con intervalli di notevole ampiezza e svettante negli acuti. Un vero mattatore si rivelava il tenore René Barbera, alle prese con il personaggio particolarmente impegnativo di Adelberto, la cui parte culminava in un’aria a solo che è stata accolta dalla sala con una fragorosa ovazione a scena aperta.
A fianco di tali virtuosi non sfigurava certo Riccardo Fassi quale Berengario, il sovrano usurpatore: emissione chiara e potente, pronuncia articolata, adeguato carattere conferito al personaggio; Paola Leoci come Eurice (consorte di Berengario e madre di Adelberto) veniva applaudita dopo la sua aria; ben funzionanti, in armonia con il tutto i personaggi minori di Iroldo (Valery Makarov) ed Ernesto (Antonio Mandrillo). Un aspetto in cui la regia si è impegnata è quello di dare il giusto risalto a tutte le persone coinvolte, persino a chi era presente interpretando il proprio ruolo di lavorante; pertanto, anche il Coro del Teatro Ventidio Basso (preparato da Giovanni Farina), che svolgeva le scene collettive di scontri armati e di cerimoniali, trovava adeguata valorizzazione. Alla leggerezza di questa regia felicemente riuscita è complemento primario un’orchestra del calibro di quella nazionale della Rai, alla quale la bacchetta egregia di Francesco Lanzillotta imprimeva una lettura drammaturgica della partitura, in determinati passaggi calibrata sugli accenti e sulle enfasi del testo, in generale sempre puntuale e curata nel dettaglio.
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