Rossini Opera Festival – Pesaro, giovedì 22 agosto, Teatro Rossini, ore 11
ROSSINIMANIA
Delphine Constantin-Reznik arpa
Roman Reznik fagotto
Gioachino Rossini
Péchés di vieillesse, Vol. XIV Altri Péchés de vieillesse
Allegro agitato
Wolfgang Amadeus Mozart
Sonata per violino e pianoforte n. 21 K304
Tempo di minuetto
Anton Edvard Pratté
Variazioni per arpa su un tema tradizionale svedese
Christoph Willibald Gluck
Orfeo ed Euridice
Aria di Orfeo “Che farò senza Euridice?”
Gioachino Rossini
Otello
Canzone “Assisa a’ pie’ d’un salice”
Elias Parish-Alvars
Grande Fantasia per arpa sul Moïse di Rossini op. 58
Gioachino Rossini
La gazza ladra
Cavatina di Ninetta “Di piacer mi balza il core”
ph. ROF 2024 Amato Bacciardi
È dedicato alla celebrazione di Gioachino Rossini, il programma che un originale duo ha portato con successo al Teatro Rossini di Pesaro, per la 45^ edizione del Rossini Opera Festival: arrangiamenti di celebri arie rossiniane ma anche brani mirati a esaltare sia le qualità di uno strumento tra i più affascinanti qual è l’arpa sia le abilità interpretative dei due artisti, come l’Allegro agitato dai rossiniani Péchés de vieillesse e il Tempo di minuetto da una delle sonate per violino di Mozart, con uno sguardo privilegiato all’area nord-europea e scandinava. Nata a Parigi, arpista titolare nella Norrköpings Symfoniorkester, Delphine Constantin-Reznik è attiva nello studio e nella diffusione del repertorio arpistico; si poteva ascoltare in veste di camerista anche Roman Reznik, meglio conosciuto come personalità emergente tra i direttori d’orchestra ucraini, fondatore e direttore principale dell’orchestra da camera svedese Camerata Ostrogothia, nonché unico direttore formatosi all’accademia finlandese “Lead!” chiamato a condividere il podio con maestri quali Jukka-Pekka Saraste, Esa-Pekka Salonen, Sakari Oramo, Dalia Stasevska e Klaus Mäkelä.
È recente la riscoperta dell’opera del compositore e arpista svedese Anton Edvard Pratté (1796-1875), originario della Boemia, autore di circa duecento pezzi e molto apprezzato nella sua carriera di virtuoso dell’arpa, sia in Scandinavia sia nell’Europa continentale. Nelle sue “Variazioni”, eseguite con tutta la fascinazione che l’arpa sa esercitare, si manifesta lo stile del compositore, per il quale al suo tempo ebbe molte e lusinghiere recensioni, una maniera di transizione tra due epoche in cui si riconoscono sia delle radici piantate nel classicismo di Mozart, Haydn, Boïeldieu sia l’influenza di autori romantici quali Beethoven e Weber, oltre a quella del Belcanto italiano. Dell’inglese Elias Parish-Alvars (1808-1849) Hector Berlioz ha lasciato un giudizio ammirato nei suoi Mémoires: “È il Liszt dell’arpa! Non ci si può figurare cosa sia arrivato a ottenere in termini di effetti, graziosi o energici, di tratti originali, di sonorità mai sentite”. Questo virtuoso fuori del comune lavorò per un periodo per i costruttori di arpe Schwieso & Grosjean, intraprese quindi una tournée in Germania, nei paesi Scandinavi, in Russia e a Costantinopoli; fu attivo principalmente a Vienna, nell’orchestra d’opera della corte. Di grande difficoltà esecutiva, oltre che di ammirevole costruzione, la sua Grande Fantasia su celebri temi dal Moïse et Pharaon lasciava incantati nell’impeccabile, virtuosistica interpretazione dell’eccellente arpista.
La stupenda aria della scena seconda del terzo atto di “Orfeo ed Euridice”, con il lamento del cantore per la perdita della sposa, anche senza il fondamento dei versi non manca di coinvolgere e suscitare interesse. Nel dramma di Ranieri de’ Calzabigi, dove l’epilogo della favola mitologica risulta mutato ed Euridice resuscita una seconda volta, questa melodia in particolare è considerata come esemplare della riforma gluckiana del melodramma. La “Canzone del salice” di Desdemona è una straordinaria dimostrazione della capacità di Rossini di rendere in musica dei sentimenti profondi; l’introduzione e la melodia dell’arpa sono di per sé stesse superbe, ma il carattere del pezzo viene determinato dalle sottili variazioni che si sviluppano: inizialmente l’enunciato è sillabico, a guisa di canto popolare e, a mano a mano che la tensione cresce, la linea melodica si fa sempre più ornata. Con l’eccezione dei due brani arpistici ottocenteschi, tutte le musiche del programma sono frutto della trascrizione dei due musicisti; produce innegabilmente un forte effetto-sorpresa l’ascoltare nel registro e con la timbrica del fagotto queste arie destinate alla voce di soprano, ma si rimane poi ammirati per la grande musicalità messa in campo dai due strumentisti, oltre al loro virtuosismo nel variare e nell’ornamentare. Una maestria che si manifesta anche nella cavatina di Ninetta dalla “Gazza ladra” (che ha ispirato anche il Capriccio per arpa e pianoforte o due pianoforti di Benedetto Negri, 1784-1854), tenuta come gran finale e applaudita entusiasticamente. La stessa è stata replicata come “bis”, a fronte delle insistenti chiamate in scena, con l’aggiunta della cavatina “Una voce poco fa” dal “Barbiere di Siviglia”.