Piacenza, Teatro Municipale, 6 ottobre 2023, ore 20.00
Stagione lirica 2022-2023
UMBERTO GIORDANO
Fedora
dramma di Victorien Sardou
ridotto in tre atti per la scena lirica da Arturo Colautti
INTERPRETI
La Principessa Fedora Romazov Teresa Romano
La Contessa Olga Sukarev Yuliya Tkachenko
Il Conte Loris Ipanov Luciano Ganci
De Siriex Simone Piazzola
Dimitri Vittoria Vimercati
Un piccolo Savoiardo Isabella Gilli
Desiré Paolo Lardizzone
Il Barone Rouvel Saverio Pugliese
Cirillo William Corrò
Borov Gianluca Failla
Gretch Viktor Shevchenko
Lorek Valentino Salvini
Nicola Neven Stipanov
Sergio Lorenzo Sivelli
Michele Giovanni Dragano
Boleslao Lazinski Ivan Maliboshka
direttore Aldo Sisillo
regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
luci e regista collaboratore Massimo Gasparon
assistente alle scene Serena Rocco
assistente ai costumi Lorena Marin
ORCHESTRA FILARMONICA ITALIANA
CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZA
maestro del coro Corrado Casati
NUOVO ALLESTIMENTO
Coproduzione Teatro Municipale di Piacenza
Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena
Strane le associazioni che appaiano legate al nome di Fedora: un cappello ad uso femminile a larga falda con sfumature maschili, ispirato all’omonimo dramma di Victorien Sardou del 1882, divenuto presto un accessorio di moda comune per molte donne durante la fine del XIX secolo e adottato come simbolo distintivo del movimento per i diritti delle donne, ma Fedora è stato anche un innovativo sistema operativo per PC open source, libero, creato su piattaforma Linux. Due oggetto legati in qualche modo all’innovazione e alla modernità a questo dramma teatrale che Victorian Sardou scrisse appositamente per Sarah Berhardt e messo in scena a Parigi nel 1882. Concessioni postume alla modernità che, per la Fedora di Umberto Giordano, di diversi anni posteriore (1897) al dramma teatrale, sta anche nel suo particolare stile compositivo, con dialoghi incalzanti, sovrapposizione di situazioni drammaturgiche, inserimento di musiche da ballo coeve, estratti da arie da salotto, libera interpretazione di musiche pianistiche e tutto quanto permetteva di ricostruire un clima da fine XIX secolo tra salotti imperiali della Russia zarista e di ricchi rifugi d’esilio parigini e svizzeri con una vicenda che risente del noir narrativo da romanzo d’appendice, in voga in quegli anni di fine secolo. Una modernità che si inserisce di soppiatto anche nell’allestimento ideato da Pier Luigi Pizzi a Piacenza dove la visione di un quadro astratto di Kandinskij e una manomissione di una frase del libretto, nella descrizione che fa Fedora della casa del suo amante /fidanzato, trova spazio un artista che in quegli anni iniziava i suoi percorsi artistici già fuori dagli stili accademici. Ci può stare visto che si tratta di una dotta citazione estetica ed elemento transitorio in una messinscena di forte impatto estetico e tradizionale. Il regista, coadiuvato da Massimo Gasparon, a cui si devono le luci, si attiene alla cronologia contestuale del dramma di Sardou ricorrendo alla tecnologia digitale per i fondali sia architettonici che paesaggistici inserendo, in scena, quei pochi elementi che possono ricostruire un salotto o una stanza da letto, facendo ampio uso di tendaggi scorrevoli che abilmente manovrati ritagliano l’ambiente e giocano effetti di chiusura sulle scene; luci fredde che contribuiscono a ricreare un ambiente di forti contrasti geometrici. I costumi curati dallo stesso Pizzi ci raccordano a quel tempo. Non è mancata anche una ricerca di una gestualità d’antan fatta di posture attente di ricerca degli appoggi di cui era maestra proprio la diva Sarah Berhardt: il tutto tra la maestria della tradizione scenografica italiana e con un ammiccamento alla tecnologia.
Umberto Giordano vide la Fedora di Sardou nel 1889 al Teatro Bellini di Napoli, proprio nell’interpretazione della Bernhardt, come accadrà a Puccini per Tosca: stesso commediografo, stessa attrice. Solo al terzo tentativo, nel 1897, Giordano con alle spalle il successo di Andrea Chénier riuscì ad avere l’autorizzazione di utilizzare il dramma del drammaturgo francese. E’ un’opera che apre al Novecento per questa musica concitata ma anche per la struttura narrativa ricca di intrighi e di passione merito anche del libretto di Arturo Colautti che di quel dramma conserva tutte le peculiarità, senza grandi inserimenti poetici, arie che emergono d’improvviso tra le varie sequenze dialogiche, prendendo di sorpresa l’ascoltatore. Eppure, nonostante la sua drammaturgia intrigante la modernità di Fedora è presto passata di moda, e l’opera è finita per essere come tutte quelle di parte della “Giovane Scuola” un esempio del cattivo gusto melodrammatico “di una volta”. Eppure piaceva a Gustav Mahler che ne diresse l’esordio viennese alla Staatsoper il 16 maggio 1900. Il teatro Municipale di Piacenza l’ha allestita come titolo della ripresa autunnale della stagione 2022-2023 con quella politica di attenzione per questi titoli che un po’ alla volta stanno uscendo dal repertorio. Repertorio che ha dei rischi quello della “giovane scuola” che necessita di voci, non di belcanto, ma di un canto drammaturgicamente impostato, giocato sulla musicalità dei momenti lirici che richiede espressione e non di declamato.
Qui il soprano Teresa Romano come Fedora ha dimostrato di possedere lo stile per aderire a questo repertorio di fine Ottocento possedendo volume, sicurezza nel registro acuto, solidità in quello centrale capace di offrire senso attoriale e drammatico con la sua voce capace di scurirsi senza cadere nel recitato ma solidamente ancorata alla cantabilità della parte riuscendo a delineare una protagonista di grande effetto anche attoriale attenta anche a quella gestualità di sapore antico. Nelle vesti di Loris Ipanov, il tenore Luciano Ganci che ormai si sta consolidando in questo repertorio lirico spinto. Non gli fa difetto l’esuberanza vocale e timbrica nell’intraprendere questi ruoli della “giovane scuola”, che si è conquistato attraversando anche ruoli verdiani, come Radames dell’Aida e Alvaro della Forza del Destino, ritagliandosi uno spazio in questo repertorio “verista” in piena maturità vocale ma che permette anche di esperire un canto aperto senza tante sottigliezze stilistiche. Contrariamente a quanto annunciato, come indisposto, Simone Piazzola porta a compimento la sua parte di De Siriex in modo elegante, ben delineato sia nel canto che nella nell’interpretazione attoriale con la sua scena madre La donna russa e femmina due volte, ben rintuzzato dalla fresca, vivace, e ben cantata Olga Sukarev di Yuliya Tkachenko che si fa apprezzare per quella sua amabile scanzonatura del suo personaggio. Tanti i personaggi di contorno, ruoli minori protagonisti collettivi nel primo atto dove dalle loro voci prende vita la descrizione dell’omicidio di Vladimiro: su tutti il Dimitri di Vittoria Vimercati e William Corrò che offre, col racconto del cocchiere Cirillo, una giusta tensione narrativa ad una situazione in bilico tra canto e declamato narrativo, meritandosi applausi a scena aperta. Così come l’intervento di Ivan Maliboshka, nel ruolo del pianista Boleslao Lazinski, con la sua parodia di Chopin. La direzione musicale di Aldo Sisillo si attiene alle note di Umberto Giordano, non offre una particolare lettura che non sia fuori misura, senza eccessi o impeti sonori, più da discreta colonna sonora, lasciando che siano le voci e il palcoscenico a raccontarci la vicenda. Alla fine sono i finali delle opere che schiudono una rappresentazione al successo.
E così è stato: se all’inizio il pubblico sembrava distratto e restio agli applausi a scena aperta, all’atto finale si è completamente sciolto in un lungo e caloroso applauso indirizzato a tutti gli artefici dello spettacolo. Ripetutamente chiamato al proscenio lo stesso regista Pier Luigi Pizzi, a dimostrazione che forse il successo è una questione di buon gusto e di comprensibilità di quanto la scena sa offrire.
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