Torre del Lago Puccini, Gran Teatro all’aperto, 29 luglio 2023, ore 21
Il sessantanovesimo festival di Torre del Lago si inserisce nel contesto del Centenario Pucciniano, che festeggerà nel 2024 il secolo dalla morte dell’operista lucchese. E si inserisce – ahimè – anche nel clima di polemica di cui le celebrazioni si sono macchiate sin dal concerto inaugurale. Dopo una controversa partenza segnata dalla Bohème-protesta di Veronesi, la prima replica dell’opera – in scena sabato 29 luglio – pare riportare l’attenzione sulla musica, tagliando fuori le basse speculazioni politiche e le relative (incommentabili) scenette. A noi basta constatare che il direttore non sia travestito da Zorro, e che al centro ci sia l’opera; tutto il resto lo lasciamo a chi si occupa di commentare la politica, dal momento che è di ciò che si tratta.
Christophe Gayral sceglie di trasporre le vicende dei bohémien – figure per definizione appartenenti ad ogni epoca – al tempo del Maggio francese, in una Parigi rivoluzionaria animata da rivolte e manifestazioni. E così ci si ritrova in un’ambientazione più vicina ai nostri tempi, dove la candela lascia spazio ad una torcia elettrica e il caminetto ad una stufa a gas. I protagonisti non abbandonano l’indole dei sognatori, e pienamente immersi nel clima della gioventù di quegli anni, si fanno parte attiva dei moti sessantottini, all’insegna del «Vietato vietare». La riambientazione – se vogliamo quasi moderata, vista la tendenza a stravolgere tempi e luoghi delle regie odierne – non è però del tutto nuova. Che il Maggio francese potesse essere cornice di una Bohème l’aveva dimostrato – ad esempio – il recente allestimento veronese firmato da Stefano Trespidi, che abbiamo seguito e recensito in questo articolo.
Senza denunciare alcun plagio, possiamo cogliere l’occasione di apprezzare analogie e differenze di due lavori così simili, e così vicini l’uno all’altro. Da un lato va detto che a Torre del Lago le scene – lavoro di Christophe Ouvrard – sono più semplici, a tratti minimali, seppur ragionate e funzionali allo svolgersi degli eventi. Dall’altra, nonostante alcune scelte un po’ semplicistiche, si possono cogliere una certa coerenza e una linearità della narrazione registica che invece, al Filarmonico di Verona, venivano a tratti a mancare. Anche i personaggi appaiono sotto luci un po’ differenti: la Mimì toscana è meno timida ed innocente, e in scena con abiti provocanti riacquista tutta la disinvoltura che ha nel romanzo di Murger. Anche Musetta, che a Verona era parsa più civettuola che mai, cambia un po’ atteggiamento e diviene più diva, una prima donna acclamata dai passanti. Per il resto gli spettacoli si assomigliano per molti dettagli: la produzione di manifesti di rivolta nella soffitta e le proteste per strada nei pressi del Momus sono un esempio. A sorpresa, però, un messaggio importante compare nel finale a Torre del Lago, dove la scena viene invasa da una folla di manifestanti i cui cartelloni di protesta si alternano a nuove insegne che denunciano il problema del clima e dell’ambiente, mescolando pugni chiusi a “No planet B”. Un messaggio forte, dal più che nobile intento, che si inserisce però un po’ a fatica nel contesto.
Bene la compagnia vocale, la cui età media è decisamente bassa, e il talento non poco. Sul palco i sei amici appaiono legati tra loro da una complicità speciale – specie gli uomini – dando vita a scene dal carattere carismatico, spesso divertenti. L’ambientazione, gli spazi, i costumi e i modi di fare avvicinano molto i protagonisti allo spettatore, favorendo quell’immedesimazione che ha fatto amare Bohème dal pubblico di generazioni. Claudia Pavone è una Mimì sicura e di bella vocalità, ed affronta la parte con intelligenza e gusto musicale. Tecnicamente molto capace, sceglie spesso un vibrato un po’ generoso, restando comunque nel complesso adeguata al ruolo e coerente con una sua scelta interpretativa. Al suo fianco, l’innamorato Rodolfo è Oreste Cosimo, che si cala con efficacia nel personaggio costruendo un Poeta davvero carismatico e sognatore. Vocalmente si caratterizza per la limpidezza di una voce leggera ma presente, che resiste ai passaggi di registro e non cede ad eccessi di alcun tipo.
A Federica Guida tocca il ruolo di Musetta, che affronta con simpatia, grande verve e deciso carattere, ma senza mai esagerare. Sul piano vocale si dimostra anch’essa precisa nell’utilizzo di un timbro piacevole e vellutato. Il suo Marcello, Alessandro Luongo, è un personaggio ben riuscito e ottimamente inserito nel contesto della compagnia. Anch’egli dal bel timbro, dimostra una certa padronanza del ruolo e non manca certo di capacità tecnica.
Sergio Bologna, nei panni di Schaunard, colpisce senza dubbio per la simpatia conferita al musicista del gruppetto, che in scena con costumi eccentrici risulta il più divertente, a tratti buffo. Vocalmente non mostra difficoltà, pur scegliendo – apparentemente – di mantenere un profilo abbastanza generico. Colline, Antonio Di Matteo, mette in campo uno strumento vocale profondo e sonoro, che non si fa scalfire dall’acustica sfavorevole che ha invece penalizzato l’effetto complessivo un po’ di tutti, soprattutto dei ruoli maschili. Completano il cast, con professionalità e recitazione divertente, Angelo Nardinocchi nei panni di Benoit ed Alessandro Ceccarini, Alcindoro.
Chiamato a sostituire l’esonerato Veronesi, Manlio Benzi si ritrova a condurre un lavoro già costruito, di cui – viene da pensare – non è detto padroneggi la concertazione. Il risultato è perlopiù gradito, l’apparato sta insieme e l’intenzione di conferire musicalità alla lettura c’è. Ma c’è anche qualche complicazione, complice magari la certa scarsità di prove. L’insieme non è sempre ineccepibile, specie tra la buca e il palco, ed una certa tendenza dell’orchestra ad arrivare in ritardo si afferma atto dopo atto. L’effetto non si limita allo sfasamento delle parti, ma arriva a tratti a mettere in difficoltà i cantanti, abituati evidentemente a scelte agogiche più fluenti. Buono il suono dell’Orchestra del Festival Puccini, che arriva coeso e tutto sommato curato, ma in più punti penalizzato da un’acustica infame e da un’amplificazione sua complice. Che l’opera all’aperto non sia semplice si sa, ma va riconosciuto che in altre occasioni – Torre del Lago inclusa – si è riuscito a fare meglio di così.
Abbastanza bene anche il Coro del Festival Puccini, preparato da Roberto Ardigò, e il coro di voci bianche, di Viviana Apicella.
Un bilancio tutto sommato positivo, quindi, con particolare interesse per il giovane cast. Ed è ciò che pare pensare anche il numeroso pubblico che al Gran Teatro Puccini riempie quasi tutti i posti disponibili: generosi applausi per la compagnia vocale, soprattutto per Mimì e Rodolfo, e apprezzamento generale, senza fanatismi.