Pesaro, Teatro Sperimentale, 16 agosto, ore 11.00
Il viaggio a Reims
Dramma giocoso in un atto di Luigi Balocchi
Direttore ANDREA FOTI
Elementi scenici e Regia EMILIO SAGI
Ripresa della Regia MATTEO ANSELMI
Costumi PEPA OJANGUREN
Luci FABIO ROSSI
INTERPRETI SCELTI DELL’ACCADEMIA ROSSINIANA “ALBERTO ZEDDA”
Corinna TAMAR OTANADZE (16)
Marchesa Melibea SERAY PINAR (16)
Contessa di Folleville MIYOUNG LEE (16)
Madama Cortese SABRINA GÁRDEZ (16)
Cavalier Belfiore PAOLO NEVI
Conte di Libenskof PIETRO ADAÍNI
Lord Sidney ALBERTO COMES (16)
Don Profondo EDUARDO MARTINEZ (16)
Barone di Trombonok VALERIO MORELLI (16)
Don Alvaro WILLIAM KYLE (16)
Don Prudenzio OMAR CEPPAROLLI
Don Luigino MICHELE GALBIATI
Delia MARIA RITA COMBATTELLI (16)
Maddalena SAORI SUGYIAMA (16)
Modestina VITTORIANA DE AMICIS (16)
Zefirino / Gelsomino XAVIER PRADO (16)
Antonio ANDRÉS CASCANTE (16)
FILARMONICA GIOACHINO ROSSINI
Produzione 2001, riallestimento
Per il “Festival Giovane” del 44° Rossini Opera Festival è andata in scena al Teatro Sperimentale di Pesaro “Il viaggio a Reims, ossia L’albergo del Giglio d’oro”, cantata scenica composta da Gioachino Rossini su libretto di Luigi Balochi, rappresentata per la prima volta il 19 giugno 1825 a Parigi, al Théâtre de la comédie italienne, per l’incoronazione di Carlo X, re dei Francesi. A quasi quarant’anni dalla sua riscoperta e prima rappresentazione in tempi moderni, Il viaggio a Reims ha ormai conquistato un posto d’onore nel canone operistico, presente in cartellone in tutti i continenti. Una macroscopica smentita per le valutazioni fatte nell’ormai lontano 1984, anno dell’allestimento a Pesaro con la direzione di Claudio Abbado e con una compagnia di canto stellare e irripetibile: “La scomparsa del Viaggio a Reims derivò da fattori estranei alla sua intrinseca qualità artistica. Alcuni di questi fattori indicano la ragione per cui, anche dopo il suo ritrovamento, appare improbabile che il Viaggio ottenga un posto permanente nel repertorio operistico”, così recita il libretto dell’incisione discografica realizzata a Pesaro in quell’anno. I fattori che ne avrebbero inficiato la popolarità sono la mancanza di un intreccio vero e proprio, l’essere legato a un’unica occasione, i costi decisamente onerosi di una compagnia formata da diciotto cantanti (all’epoca, l’intero organico del Théâtre Royal Italien) e le qualità straordinariamente virtuosistiche richieste a dieci di essi; oggi si vede che nulla di ciò si è dimostrato insormontabile. La si chiama opera, intendendo con ciò melodramma, ma in realtà altro non è se non una cantata, una cantata scenica, così definita dall’autore stesso. La differenza tra i due generi c’è, anche se nel Viaggio è difficilmente individuabile: con il melodramma si narra una storia, con la cantata si celebra un’occasione. Già qui incontriamo aspetti paradossali: cosa mai hanno a che fare le scenate di gelosia tra Libenskof e Melibea, o l’innamoramento di Lord Sidney oppure il corteggiamento del tombeur de femmes Belfiore nei confronti di Corinna, con l’ascesa al trono del più reazionario tra gli ultimi monarchi francesi, che volle ripristinare il rito dell’unzione nella cattedrale di Reims? È vero, la cantata celebrativa fa spesso uso di personaggi allegorici e quelli del Viaggio a Reims lo sono, ma sono soprattutto caricaturali, inoltre, il carattere generale di questo straordinario capolavoro è agli antipodi della solennità che ci si aspetterebbe per una simile occasione. Rossini e Balochi decisero di divertirsi un po’, ai margini della pompa magna della cerimonia, in antitesi con gli operisti francesi François-Adrien Boïeldieu, Henri-Montan Berton e Auguste Kreutzer, che per la stessa occasione montarono invece il melodramma in tre atti Pharamond, glorificante la storia e le leggende di Francia. Pertanto, gli stranieri diretti a Reims, convenuti a Plombières-les-Bains (località legata ad accordi politici segreti già allora, ben prima dell’intesa Cavour-Napoleone III), impersonano il “Concerto europeo” della Restaurazione (la cui natura effimera sarà resa manifesta dalla guerra di Crimea), mentre l’Albergo del Giglio d’oro rappresenta in piccolo Parigi, capitale del mondo. Tra tutti, la paziente più grave in cura nella nota località termale è la Francia stessa, impersonata dalla contessa che porta il nome parlante di Folleville. A lungo creduta irrimediabilmente perduta, la partitura ritrovata (e in parte ricostruita) è oggi un laboratorio per le future generazioni del Belcanto, materia di studio per i giovani che frequentano l’Accademia Rossiniana “Alberto Zedda”.
Anche per l’allestimento di quest’anno, Matteo Anselmi riprende le scene e la regia del 2001 di Emilio Sagi, una formula vincente per efficienza ed economicità; i costumi sono di Pepa Ojanguren, le luci di Fabio Rossi. È un vero peccato che i giovani virtuosi rossiniani si siano dovuti adattare agli spazi ristretti del Teatro Sperimentale, mentre la casa prediletta del Viaggio rimane il bellissimo Teatro Rossini, quest’anno inagibile (solo per quest’anno è ciò che tutti sperano).
Anche l’Orchestra Filarmonica Gioachino Rossini, diretta dal debuttante Andrea Foti, risentiva di uno spazio inadeguato, così pure la ricezione da parte del pubblico; si distinguevano in ogni caso la puntualità dei recitativi accompagnati da Rubén Sánchez-Vieco al fortepiano, un pregevole assolo del flauto di Cristina Flenghi, il supporto dell’arpa di Eva Perfetti alle arie di Corinna. I giovani interpreti si sono fatti valere in differenti gradazioni di bravura, intercalando la recitazione anche con gag e motti di spirito, come è ormai tradizione; si ascoltava un Don Profondo bene impostato e disinvolto, un Lord Sidney impositivo, potente nell’emissione ma statico quanto ad accentazione e pause espressive; bene il ruolo di Corinna, indefettibile nell’emissione e nell’articolazione anche se non strabiliante, perfettibile nella fluidità; la Contessa di Folleville faceva rilevare gestualità e presenza scenica al di sotto del personaggio (è pur sempre una diva, una merveilleuse, anche se in chiave caricaturale), oltre ad alcune imprecisioni in passaggi-chiave e qualche inflessione stridula nel timbro; di Melibea non si può dire altro che bene, per la coerenza nella vocalità, la spigliatezza e la verve messe in campo; lo stesso vale per Libenskof, di bel timbro e di emissione squillante, per Trombonok, perfettamente a suo agio e sicuro, per Don Alvaro, per una Madama Cortese di canto fluido e di volume predominante, per il Cavalier Belfiore che svolgeva egregiamente una parte da mattatore, con voce piena e gradevole. A cominciare dal bell’esordio di Maddalena, le parti di Modestina, Luigino, Prudenzio, Zefirino/Gelsomino, Delia e Antonio contribuivano tutte positivamente a una felice riuscita. Entusiasmata, la sala tributava fragorosi applausi e sonore acclamazioni, a scena aperta e in conclusione.