Venezia Stagione Lirica 2023-2024, 2 dicembre 2023, ore 15.30
LES CONTES D’HOFFMANN
Opera fantastica in un prologo, tre atti e un epilogo
Libretto di Jules Barbier
Musica di Jacques Offenbach

Hoffmann Ivan Ayon Rivas
La Muse Paola Gardina
Nicklausse Giuseppina Bridelli
Lindorf, Coppélius, Le docteur Miracle, Dapertutto Alex Esposito
Andrès, Cochenille, Frantz, Pitichinaccio Didier Pieri
Olympia Rocío Pérez
Antonia Carmela Remigio
Giulietta Véronique Gens
La Voix Federica Giansanti
Nathanaël Christian Collia
Spalanzani François Piolino
Hermann/Schlemill Yoann Dubruque
Luther, Crespel Francesco Milanese

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Frédéric Chaslin
Maestro del coro Alfonso Caiani
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Coreografia Chiara Vecchi

Ricca, intrigante, variegata, Les Contes d’Hoffmann in apertura della stagione 2023-2024 è uno spettacolo a 360°, che si svolge nel regno delle illusioni.
Il 2 dicembre 2023 il sipario dell’affollatissimo teatro La Fenice si apre sull’ultima recita del titolo d’inaugurazione della Stagione Lirica e Balletto 2023-2024. Sulla scena: Les Contes d’Hoffmann, nell’ intrigante e sgargiante allestimento di Damiano Michieletto, una coproduzione con Opera Australia, Royal Opera House Covent Garden Foundation e Opera National de Lyon.
L’“Opera fantastica in tre atti, un prologo e un epilogo”, notoriamente incompiuta e dalla genesi travagliata, viene qui interpretata in una versione ad hoc, con tagli dei dialoghi e di alcune arie (come “Scintille, diamant” e l’aria di Giulietta), per costruire una narrazione che tralascia toni cupi e dimensione psicologica, risaltando invece l’aspetto surreale e magico del racconto.

L’allestimento di Michieletto, con il collaudatissimo staff creativo composto da Paolo Fantin per le scene, Carla Teti per i costumi, Alessandro Carletti per le luci e Chiara Vecchi per la coreografia, ha un fascino cinematografico. Una gran folla anima la scena, giostrandosi in interventi coreografici talora allusivi, ma anche funzionali alla narrazione, come l’allegro episodio delle giovani ballerine del secondo atto. Atmosfere variopinte, suggestioni di ombre attorno ai personaggi, contributi video e coreografie di grande effetto immergono il palco in una dimensione onirica e magica, con tanto di effetti speciali. Ne sono esempio la chiave della stanza di Stella che svanisce in una fiammata, la trasformazione dell’immagine della cantante in uno dei tre demoni che accompagnano Lindorf, la pirotecnica esplosione della bambola Olympia, l’inquietante roteare di Antonia sul suo letto, la cattura dietro allo specchio del riflesso di Hoffmann, rimasto senza volto.
Avulso da riferimenti geografici o caratterizzazioni d’epoca, lo spettacolo rappresenta un fiabesco viaggio nel tempo, ripercorrendo le illusioni di felicità e amore, spente dall’onnipresente presenza mefistofelica, che hanno attraversato le fasi della vita di Hoffmann. Il palco diventa così luogo della fantasia, definito da una scena oggetto di continua evoluzione (con cambi evidenti e comparsa di elementi dall’alto) ma che mantiene sempre la stessa struttura di fondo, quasi a collocare le visioni narrate nella memoria del poeta. La cornice iniziale e finale, presenta Hoffmann come un vecchio ubriaco e trasandato, che si abbandona a una fantasia d’amore, ammaliato dalla Diva Stella. Il luccicante fiato de La Muse apre poi il sipario su ciascun quadro del flashback, portando la narrazione a scuola, in un’accademia di danza e successivamente in un ambiguo salotto notturno, per incontrare i tre sogni di donna di un Hoffmann prima bambino con Olympia, poi giovane uomo con Antonia e infine adulto con Giulietta. In questo viaggio il poeta è accompagnato dal variopinto Nicklausse, voce della coscienza che qui veste i panni di un uccellatore, donando una nota comica al personaggio. Su ciascun’illusione amorosa incombe il diavolo, che, seppur rappresentato come una presenza teatrale e sarcastica, infrange i sogni del poeta fino alla fine, trasformandosi con un efficace colpo di scena nella cantante d’opera Stella.
Nella complessità del soggetto, magia, illusione, sofferenza e nostalgia sono così presentati sullo stesso piano, in una caleidoscopica mescolanza di elementi comici, beffardi e tragici.

Ivan Ayon Rivas, che debutta nel ruolo di Hoffmann, porta sul palco travolgenti qualità timbriche, per vocalità squillante, limpida e potente fino alla fine dell’opera. Capace di destreggiarsi in una convincente varietà di fraseggio e dinamiche, ben rappresenta l’evoluzione tra le diverse età del personaggio. Con disinvoltura e maestria interpretativa, tratteggia un Hoffmann visionario, vittima di fantasie, passioni e disillusioni.
Il magnetico Alex Esposito veste i mefistofelici panni di Lindorf, Coppélius, Le docteur Miracle e Dapertutto. L’impeto attoriale con cui il basso-baritono differenzia i quattro personaggi, rende alla perfezione le qualità trasformistiche del diavolo. Come atteso, credibilità scenica, timbro profondo ed espressività brillante, sarcastica ma anche demoniaca, conquistano il pubblico.
Rocío Pérez anima la bambola Olympia con frizzantezza e vocalità vertiginosa, dai suoni luminosi e ben proiettati, accompagnati da movenze meccaniche e mimica artificiale.
Carmela Remigio in Antonia incanta il pubblico per la drammatica interpretazione dal fraseggio intenso e mirabili sfumature dinamiche.
Véronique Gens disegna una Giulietta altezzosa e aristocratica, dal timbro morbido ed elegante, che ben si amalgama con la voce di Nicklausse nella celebre “Barcarolle”. L’amico-aiutante di Hoffmann è interpretato Giuseppina Bridelli, dal canto ben timbrato e proiettato e dall’interpretazione ben caratterizzata. La Muse è invece Paola Gardina, che solca la scena esibendo spiritosa personalità e voce corposa.
Didier Pieri interpreta Andrès, Cochenille, Frantz e Pitichinacchio, con spiccata e calzante ironia, che emerge particolarmente nei panni di un Frantz maestro di ballo, punzecchiato dalle sue giovani allieve.
Gradevoli anche lo Spalazani di François Piolino, Luther e Crespel di Francesco Milanese. Completano efficacemente l’ensemble dei comprimari Yoann Dubruque in Hermann/Schlemill, Christian Collia in Nathanaël, Federica Giansanti per La Voix.

La concertazione è affidata a Frédéric Chaslin, che torna a dirigere i Contes d’Hoffmann sul palco feniceo a trent’anni e più di settecento recite dopo la prima volta (nel febbraio del 1994). La bacchetta del maestro realizza con l’Orchestra del Teatro La Fenice sonorità incisive ed energiche, enfatizzando comunque il carattere mutevole della partitura: leggera e frizzante, ma anche scura e misteriosa.
Similmente, il coro preparato da Alfonso Caiani, pienamente immedesimato nella scena, realizza il contrasto di allegria e malinconia offrendo un suono sempre ben coeso.
La portata dello spettacolo vale di certo il trionfo del pubblico, che acclama con particolare calore i cantanti Rivas ed Esposito.

 

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