– Credo che dobbiamo farne un ultimo “per la strada” … annuncia il Capo centrale porgendo nella mia direzione, le direttive del Intel: Halleluyah…
– Ma lei s’aspetta che dico amen? O allora?
– Il gruppo, Capitan, il gruppo…
Adesso mi ricordo di avere fatto entrare nell’archivio le 4 produzioni rilasciate da loro su Bandcamp. Due split, e un EP, che mi aveva attratto a l’epoca dalla sua copertina, rappresentando una bambina concentrando i raggi del sole con una lente su un crocefisso, provocandone la combustione. Ci vedevo un esperimento scientifico basico su un’istituzione millenaria, riluttante di includere le scoperte umane nella loro dottrina, andandoci chiaramente contro, ma ipocritamente pronti ad appoggiarsi sulla medicina in caso di bisogno.
– Capo centrale mi rinfresca la memoria per favore…
– Certo capitan, ma le info sono piuttosto frammentare su questo gruppo e abbiamo per la prima volta i nomi dei membri su quel album, niente cognomi. Abbiamo un certo Scoia alla voce et sintetizzatori, l’unica schedata Laura alla batteria che abbiamo in archivio dal gruppetto “22 gennaio”, e poi dagli “Meteopathics” and Federico al basso e registrazione. Quattro uscite; “Hallelujah” EP 6 tracce dall’Ottobre 2015 sul label Depression House Records rilasciato su vinile 12 pollici, cioè formato album 30 centimetri, pero stampato di un solo lato. Poi uno split con un duo romano chiamato Holiday in su un 7 pollici quindi formato single, ma che va suonato a 33 giri, uscito in giugno 2016 su Maple death records, Poi un altro split Hallelujah con “Inutili”, una band di Teramo Abruzzo, rilasciato su due label Aagoo Records & Welcome In The Shit Records, in luglio 2017, questa volta su un vinile 10 pollici totalmente improvvisato, 1 presa e rilasciato tale. E nostro rilevamento un album 8 tracce di febbraio di quest’anno con una bella copertina designata da Laura Campana su vinile 12 pollici. Registrato, missato e masterizzato da Federico Grella al Dirty Sound Studio in Angiari. La band si gira verso un Korg MS20 dalla partenza del loro chitarrista a l’estero e passano da punk noise al Proto synth punk registrato con microfoni auto costruiti. Non ho il nome del chitarrista originale non appare da nessuna parte.
– Ok, Grazie! Jones andiamo a caccia. Secondo? Penso che le troveremo un po’ più a sud. Rotta nel 180, avanti 05 nodi, profondità 100, Capo mi tira fuori l’archivio su sti qua, che ci do un orecchiata.
Il primo EP fa un uso estensivo del Larsen e dei vocali oltre saturati e urlati. Per lo meno il beat è invitante e chitarre mordente portano “Red mestruo” tutto allungo, mentre armonie di canto invitante emergono di “Fugazzin” l’energia espulsa a grande velocita e incommensurabile. Il primo split con Holiday in salta alla gola al primo secondo su “Terror at the post office” Il secondo Split con “Inutili” è il più interessante. “We don’t play in a USA band” è condito di “fuck you” ma ricorda i Stooges nella sua sostanza. Lo split EP si conclude su un “Spanish dream” che non finisce più di finire, rinchiuso nel suo loop finale… La ricetta gira sempre intorno a questa overdose di suoni saturati, questo suono compatto e potente, ma che rimane accattivante. Spesso mi sono sorpreso a ripremere Play solo per cercare di capire cosa mi piaceva nel marasma di suoni saturati, conditi al Larsen. In generale, il loro suono e inconfondibile, il feedback è un ingrediente cronico nei loro album, e i vocali sono sempre registrati con microfoni ad impedenza sbagliata. In due parole hanno un colore tutto loro.
– Credo che le abbiamo davanti, capitan nel 180, distanza 43 miglia, girano ad alta velocita, raggio 6 miglia circa, profondità 065.
– Ferma propulsione! Strumentazione in moto, cominciamo!
“Pink socks” non smentisce con la totalità del suono generato precedentemente, la confusione presente da pochi indizi sulla presenza della vecchia tastiera monofonica. Il MS20 e uno dei rari sintetizzatori ancora in uso oggi. Pregiato da bassisti per generare suoni profondi tramite la sua connessione “trigger”. Qui si integra in un muro sonoro e spettina tutta la prima fila.
L’identificazione della tastiera e un po’ più ovvia in “Champagne”, la potenza generata attraverso il canto genera il Larsen. Le parole sono declinate sul ritmo di una filastrocca “I don’t know what you want, I don’t know what do you want” “Now I want to be your duck”, la cover del famoso pezzo dei Stooges, si alza di mezzo a l’album come un isolotto di calma, chiaro e sereno. La canzone originale era di costruzione molto semplice e constante da cima a fondo del pezzo. La restituzione di questa persistenza e accentuata dalla presenza di una beat box.
“Minipony” prende il tempo di occupare un largo spazio, invece di correre verso la sua conclusione in tempo record. La tastiera si impone come strumento leader nel brano, il basso distorto crea con la batteria una massa scura, che divora a meta i vocali. La traccia sembra concludersi verso 2.25 per ripartire ancor più veloce e più forte, come aspirata in una spirale.
Sembra che il basso e il MS20 si combinano sulla stessa partitura per creare una sola entità, forte e inesorabile “Scream” vi farà immancabilmente scrollare della testa sul beat costante di Laura.
Titolo eponimo “I wanna dance” vede il ritorno delle percussioni programmate, rialzate puntualmente di percussioni additive che dà a Laura l’occasione di sostenere Federico di suoi cori ripetuti freneticamente. Gli avvisi divergono ma dico: certo che si può dondolare su questo brano!
C’è un ritmo sfrenato su “Burka for everyone”, la voce stranamente senza feedback per una volta, declama il testo su una cadenza più calma, più determinata. No si riesce a specificare dove è il basso e dov’è il sintetizzatore, nella massa sonora compatta che ci è buttata in faccia, spezzata a fettine da un oscillatore. Un minuto e tredici di pura gioia.
Contrasto totale con il resto delle tracce presentate fino ad ora “Alter ego” conclude l’album su un pezzo di più di sette minuti che sembra spalmarsi di mezzo alle sberle cortissime del resto del disco. Comincia come un gioco video degli 80’s, poi Il testo e scandito con la determinazione di un discorso politico. Il Leitmotiv musicale e martellato ossessivamente e trova solo un campo libero oltre il quarto minuto per esplorare le variazioni intorno a un tema.
L’album lascia una strana sensazione di disturbo, colpa dell’uso intensivo del Larsen, e di sonorità ruvide, grezze di forma, dello sforzo inutile di provare di capire quello che è salmodiato, lascia anche la voglia, ancora più strana di tornare a sentirlo di nuovo, talmente l’emergenza di melodie fuori di questa massa grossolana e aggressiva e sorprendente e inaspettata. Tolgo le cuffie. Tutto intorno a me sembra spianato e liscio, sicuramente come il mio elettroencefalogramma. Mi ci vuole un po’ di tempo prima di riquadrare tutto:
– Torniamo alla base Nibraforbe, Capitan? chiede il Secondo, anche lui impaziente di tornare a casa, dopo tre mesi completi passati sott’acqua.
– No! Rispondo determinato. Rotta verso i cantieri Navali di Garniga Terme. Andiamo a cambiar propulsione e ridare una nuova gioventù al Wyznoscafo! Poi mentre saremo al bacino secco riposo per tutto l’equipaggio!