Risalivamo piano dagli abissi dopo la nostra missione su Freaky leeks e il profondimetro digitale che guardavo sopra la spalla del timoniere di profondità raggiungeva gradualmente 100. Inutile di dire che Jones al Sonar prende la parola, per tutte le nuove scoperte:
– Segnali! Electric Circus nel 130, rotta nel 010, distanza 21 miglia, velocita 08 nodi, profondità 080, Rich Machines nel 110, rotta nel 040, distanza 31 miglia, velocita 06 nodi, profondità 050.
– Ok, vanno a Nord su rotte quasi parallele… Distanze minime?
– 15 miglia per Electric circus nel 090 e 20 miglia per Rich Machines nel 092.
Niente rischi di collisione, eravamo più lenti, più profondi e tutti questi schedati ci passeranno davanti e sopra. Senza forzare, nessuna manovra necessaria, erravano già offerti e di fianco alla nostra strumentazione, risparmiandoci la sudatina:
– Rimanere a profondità 100, Capo centrale mi raccogli dati su Electric circus prima, vediamo Yari Ciani dopo…
Incrocio le dita delle due mani sulla mia nuca e mi distendo la schiena sulla poltrona del centrale che si inclina all’indietro scricchiolando più rumorosamente sul fine corsa, nell’inclinazione che lo schienale raggiunge raramente. Conoscete la storia: capo, fogli, blocco, matita, gommino, rapporto.
– L’album è stato registrato per essere la colonna sonora di un film di Andrea de Giorgio filmato fra Dicembre 2020 e febbraio 2021 nel Mali e in Senegal. Con Michele Cattani alle riprese, Gianluca Lo Presti animazione e copertina del album, Dario Fortunato al montaggio, Electric Circus colona sonora Marco Sirio Pivetti (Metrò Rec Studio) al missaggio. Il film stesso racconta 3 storie intorno a 3 personaggi della vita reale e la loro visione o le loro aspirazioni per l’africa di oggi: Elène Coulibaly, una studentessa in danza al conservatorio di Bamako nel Mali. Boubacar Sangaré un giornalista indipendente del Mali che cerca di sviluppare un senso critico e originale di pensare, ma ancorato nella cultura indigena.  Bassirou Wade un artista di Dakar che crea a partire di materiali riciclati, metallo in particolare, delle opere ad alto impatto popolare. L’album è uscito ieri il 31 ottobre 2021. Pochi i cambi nella formazione; ritroviamo Paolo Pilati che lascia il basso per occuparsi della chitarra molto più spesso, Francesco Cretti si focalizza sul basso ma anche un po’ di chitarra, Paolo Urbani alla batteria, Giuliano Buratti agli fiati, e sono incorporati Gabriele Perrero alla chitarra e tastiere e Federico Bevacqua alle percussioni, le abbiamo visti tutti due da anni intorno alla band in una moltitudine di video e apparizioni pubbliche. Tutto li.
– Strumentazione! Cominciamo!
Quello che sorprende in questo album è che tutti temi presentati qui, sono veramente quelli che accompagnano il documentario. Nel senso in quale il filmato non propone un estratto di un pezzo che può essere incluso in un album, ma la pubblicazione audio si compone, né più né meno, di quello che è stato incluso al filmato. Due reazioni possibili partendo da questo; si può riconoscere l’esercizio difficile di vestire immagini con musica e l’abilita del gruppo a portare questo progetto avanti con successo. La seconda è di trovare nell’album i temi puri anche se avevano la possibilità di essere sviluppati per formare un vero album strumentale. I Electric circus avevano la possibilità di appoggiarsi su le frasi tematiche e le melodie per aprire un campo tutto loro, rispettando il formato “colona sonora del documentario”. I brani raccolti qui, sono molto più corti che quello che la band ha proposto fino a qui, attraverso i loro tre album, un live e una serie di re-missaggi esterni.
Strana introduzione per un brano ambientato in africa: l’atmosfera di “Elène” sembra descrivere una tonalità nord americana. Colpa della chitarra che piange nella sua riverberazione in secondo piano, da l’entrata del ritmo al 47esimo secondo. Niente da temere, il ritmo, le chitarre, il modo di suonarle e sicuramente la loro accordatura, i cori, il battito delle mani riportano nell’africa subsahariana. L’idea si è ancorata nella mia mente, dal distacco che abbiamo qui dentro, lontano del filmato, a focalizzarci solo sui dati del decoder audio.
“Les poissons” ridanno quella stessa sensazione, ancora più ancorata nella nostra mente dalla presenza del suono profondo della chitarra folk principale e del bottle neck che corre sulle sue corde. Un tintinnio metallico scorre in sotto fondo, mentre un altro rumore, fatto con il bastone della pioggia, simbolizza il suono delle onde. Ecco un soggetto che poteva essere portato in viaggio, oltre l’immersione in apnea corta, proposta qui.
“Bokar” vede il sassofono di Giuliano Buratti fare da locomotiva sul binario di una chitarra ritmica presa nel su giro, diretta verso l’infinito e oltre. Percussioni al gusto metallico assistono la batteria metronomica di Paolo Urbani. Il canto del sassofono passa a l’ottavo superiore prima di tirare la reverenza.
“De la brousse” è una delle tre tracce le più corte del EP con una durata inferiore al minuto.  Oggetti metallici e questo strano tubo di legno, il bastone della pioggia, utilizzato prima, scortano due chitarre: Una che piange e fa lunghezze nella distanza e il soliloquio di un’altra più vicina, che assomiglia un riscaldamento di ditta durante un esercizio strumentale mattutino…
“Bassirou” inizia con percussioni e battute di mani. La traccia si apre dopo l’apparizione di un crescendo di sintetizzatore che si arrotola intorno alla sua riverberazione. Frasi di tastiere esplorano le basse frequenze per confondersi con una batteria che la raggiunge nei toni bassi. Un flauto traverso provvede note allegre, nel finale.
Tre brani sono fusi assieme e le ascoltiamo in un solo lancio: “Oasis” è il brano il più calmo del album. Il più aperto verso spazi ampi. Riprende un po’ la tematica e le sonorità del primo pezzo: “Elene”, al meno richiama alla stessa atmosfera, senza decollare nel ritmo della batteria, perché descrive la calma e la contemplazione del posto. Le Oasis son fatte di un po’ tutto, dal momento che contrastano piacevolmente con le rugosità del mondo circondante.
“Oasis” si fonde direttamente con il brano seguente chiamato “Darou Mbaye” attraverso il rombo del piatto ride. Un sassofono discreto rimane sul retro scena per la prima parte del pezzo, poi fa timidi passi, per sporgere avanti con percussioni manuali e una chitarra che si estende nel eco.
Di nuovo una transizione per saltare più gioiosamente nel brano successivo chiamato “Madj”. L’arpeggio ripetitivo della chitarra ritmica offre un campo libero a un dialogo Sassofono-chitarra solista. La traccia si conclude sul ritmo delle clave.
“Jeunesse” che si traduce come gioventù è un legame abbozzato, grezzo di forma, in quale il riposizionamento dello chitarrista e lo scorrimento delle sue dita sul manico e stato lasciato presente nella registrazione, come un preparativo, un momento generalmente tagliato nelle registrazioni in quali pulizie sono state fatte. La tracia e cortissima con le sue 47 secondi e porta a l’ultimo brano del album.
Percussioni legnose e manuali aprono “Etre Teg”. Come al passo di un asino che porta coraggiosamente il suo carico su un sentiero polveroso. Un flauto traverso ci scorta verso l’uscita del album. Teg è una casta senegalese composta principalmente di fabbri.
Nonostante la bravura dell’impresa stessa, penso che questo album poteva essere sviluppato, non per una storia di durata, ma per un motivo di sostanza. La formazione ormai stabilita a Torino era largamente capace di completare il viaggio mentale, proposto dagli vari temi presentati qui, e proporre brani di dimensioni al meno radiofoniche, invece del semplice estratto dal documentario. Le creazioni son buone ma sono rimasto sulla mia fame. Come uscire da un ristorante esperimentale ed avere ancora un vuoto nello stomaco, da colmare. Ci tocca adesso di interessarci ad un altro strumentale, mentre passiamo largamente sotto questo rilevamento.
– Jones? Dov’è si trova Rich Machines adesso?
– Nel 092 Capitan, distanza 10 miglia sempre rotta nel 040, velocita 06 nodi.
– Conservare profondità e velocita, non spegnere la strumentazione….

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