– Ivan il pazzo!
Ed eccoci finalmente nella procedura di fine missione, con la famosa manovra imposta dal manuale. Sinceramente io speravo puntare verso la base Nibraforbe, ma era senza contare su Jones che in mezzo alla manovra sclama:
– Segnale! nel 225, rotta nel 270, velocita 11 nodi, distanza 16 miglia, profondità 080. Firma sonar Servan. Tre schedati nella formazione…
– I Servan? Sono ancora attivi?
– Sembra di sì, Capitan…
Di memoria mi ricordo un’apparizione su Balcony TV nel 2016, con un brano “Tiki land” seguita da un’intervista da Jenny, una classificazione nell’enciclopedia “Band underground trentine” dell’Ammiraglio Martina Tosi e la loro presenza nella compilazione di 48 tracce ancora con “Tiki land” e in fine la loro entrata sul sito Database musicale trentino sempre nel 2016. Poi più niente… silenzio. Magari noi siamo stati occupati da un’altra parte, o magari I Servan sanno passare sotto il nostro sonar senza essere notati…
– Rotta nel 240, avanti 10 nodi, profondità 080, Secondo, una volta nel loro angolo morto ci infila nella loro scia, come lei sa fare.
– Aye aye sir!
– Capo? chieda un SERIO dossier su questo caso… Jones? Gli schedati chi sono?
– Essequadro alla grafica della copertina, Enrico Lunelli voce e Mattia “HeadMatt” Carli dei Chaos Factory alla chitarra sembra che adesso sia in un altro gruppo chiamato Elvenking.
– Ah! Fem nel duro e il rumoroso allora? Ok raccogliamo dati! Scanner, doppler, spettrometro, decoder audio…
Aspettando il rapporto del capo centrale ricordo che Tiki land era una composizione del 2015, parte emersa di un iceberg già scritto o scritto in parte, poi lavorata in vista ad una registrazione annunciata a Balcony TV per il 2017. Movimenti di partenza e nuovi membri in arrivo, rispinse il compimento del progetto. Per lo meno, l’impresa viene finalmente rilasciata dopo nostra festicciola mondiale, ed ecco che il Capo centrale torna con il suo rapporto:
– Allora, Il Servan è una creatura mitologica presente anche nei territori anglosassoni e germanici. È infatti meglio conosciuto con il nome inglese di Changeling. Si tratta di una creatura che i troll delle foreste rimpiazzavano nelle culle al posto dei bambini umani, i quali venivano rapiti. Questo è un concept album che racconta l’avventura epica di un vagabondo di mezzo alle creature leggendarie del bosco. L’opera intera è stata scritta, composta e prodotta da Enrico Lunelli. La formazione originale del 2015 che avvio il progetto era composta da Denis Grajqevci: Chitarra solista e seconda voce. Giulio Franceschi alla Chitarra. Davide Jamil al Basso. Enrico Lunelli: Voce. Enrico “Dori” Dorigatti alle tastiere. Adriano Magagna alla Batteria. La formazione attuale si compone da Enrico Lunelli: voce, musica e testi, programmazione della base tastiere programmata su tutto l’album, Francesco Pinter: chitarra, Mattia Faccioli: basso, Andrea Sadler alla batteria, con Mattia “HeadMatt” Carli alla chitarra su Jontunn e Catia Borgogno al canto nell’introduzione dell’album. Le tredici tracce sono state registrate e missate da Riccardo Coraiola al Chorra studio, il master è stato affidato al Metro 37 Studio di Detroit, USA, specializzati in questo genere musicale. L’album esce il 25 maggio 2022 con una copertina di Essequadro.
– Grazie Capo! Dai! Cominciamo.
A guardare i dati, siamo a metà strada fra il folk medioevale e il metal duro, fra il menestrello al flauto e le chitarre rabbiose, la presenza di voci sia chiare, che eruttate con la tecnica del “growl” accentua l’aspetto teatrale e definisce vari personaggi nell’epopea descritta qui. Molti punti comuni fra “Chaos factory” e il loro doppio album “Horizon” nel magniloquente e l’enfasi data a molti passaggi dell’album, che spinge l’immaginazione a creare una scenografia mentale e dare una forma a dei personaggi di quali seguiamo la storia.
Catia Bogogno intona “The Path” di un canto tradizionale su un fondo di tastiere scure. Un flauto accompagna un rumore di passi da un pavimento in legno fino a camminare su foglie secche. C’è come un odore di partenza, di addio senza ritorno. Nostro vagabondo sembra lasciare la civilizzazione e si mette in viaggio.
Notiamo le stupende capacita vocali di Enrico Lunelli, sia nel canto chiaro e nel canto gutturale del growl. Notiamo anche un batterista virtuoso nei passaggi intensi, rimanendo preciso nelle raffiche. Il vagabondo arriva nella foresta di “Tiki land” il posto è piacevole e si immagina re delle creature della foresta. Il flauto finale simbolizza la scelta del suo futuro destino: “When the forest whispers your name you must honour the call”. O “Quando la foresta sussurra il tuo nome devi seguire il suo richiamo.”
Una chitarra mordente ci guida in “the Forest”. Nostro vagabondo si rende conto che madre natura e meno generosa di quello che pensava. Indebolito dalla fame si distende su l’erba e si accorge che non è solo nel bosco. Predatori o amici? La presenza del flauto crea un’atmosfera teatrale sopra un basso imponente che crea un massiccio fondo in tutte le tracce. 2.19 un ponte musicale inspirato dal genere “Djent” stronca la parte finale del brano.
“The Goblins” nani malvagi che vivono di saccheggio e depredazione nei villaggi attorno il bosco accolgono il vagabondo fra loro. Lui pensa che potrebbe trovare vantaggio in questa alleanza. Il suono di un piano dritto alleggerisce il primo verso e l’ultima battuta del brano, il flauto della base musicale rimane presente allungo il pezzo, sopra un coro vocale sintetizzato, che rimane in sotto fondo. La batteria assenna raffiche consistente in questo brano. Consideriamo che il genere musicale stesso richiede dei musicisti molto più virtuosi che nel rock tradizionale, solo a considerare la rapidità delle partiture e il modo preciso e pulito in quale devono essere esecutate.
Il vagabondo si integra pienamente alla foresta e cerca risorse di forza e di coraggio nel potenziale spirituale della foresta riscaldandosi vicino ad un fuoco. Altro punto comune con “Chaos factory” la presenza di due lingue nello stesso concept album; “Ode to the elements” è sorprendentemente cantato in Italiano. Ritroviamo la potenza tagliente della chitarra con un bel assolo, oltre al terzo minuto, la forza tellurica del basso e la sparatoria batteristica necessaria all’energia del brano.
Il vagabondo riscaldato dal fuoco si ricorda delle legende della sua infanzia, quando le mamme facevano paura agli bambini incoraggiandoli a trovare protezione dalle varie creature cattive, nel loro letto chiudendo gli occhi. Ancora più sorprendente “Lovegati” prende accenti di musica tradizionale irlandese e il suo primo verso è cantato in dialetto trentino che imporra traduzioni, se il disco viaggia oltre le frontiere…
Il vagabondo si rende conto che non è il primo umano ad essere accolto nel bosco. Tempo fa due prestigiatori hanno trattenuto i Goblins con la loro magia. Ma stanchi di vedere gli stessi trucchi i Goblins le hanno fatto sparire. Il vagabondo si chiede se è veramente al sicuro fra di loro. Ritorniamo all’inglese per il brano “the conjurers”. Su un ritmo simile ma più muscoloso, si svolge la canzone la più lunga dell’album. Bello sforzo vocale intorno a 2.50 prima il ponte musicale.
Qualche passi sulla neve per incrociare un’altra specie che tormenta i boschi; i Trolls che cercano di rubare il vino delle vostre cantine e rapinare i bambini cattivi per rimpiazzarli nella culla da un Servan.
“Drunk Troll” trova la sua potenza nella partitura al seghetto alternativo della chitarra e dal ritornello martellato ossessivamente da multipli stratti di una voce potente, che mimetizza le intemperanze disinibite di gnomi ubriachi, già poco inclinati a civiltà a digiuno.
“The last battle” si calla su un ritmo più pesante con una chitarra al suono molto più aggressivo e tagliente, l’atmosfera si alterna fra passaggi calmi e quasi disperati, alla furia combattiva della chitarra. Il vagabondo parte in battaglia contro il suo vecchio mondo con eserciti di Goblins per soddisfare la sua vendetta, ma gli uomini dei villaggi attorno al bosco escono vittoriosi dell’incontro…
Il vagabondo perde su tutti due piani; sia Goblins che l’odiano per le loro perdite, che umani che lo dannano di avere guidato l’attacco. Devorato dalla sua colpa ed ebro di vino e vergogna, si rifugia in una caverna, e colpo incredibile di sfortuna, trova il modo di risvegliare accidentalmente un gigante assopito lì per mille anni e chiamato “Jötunn”. La traccia contiene due passaggi a velocita raddoppiata che danno un colpo di defibrillatore alla seconda parte dei versi. Ritroviamo Headmatt Carli alla chitarra e sempre questa base programmata fatta di tastiere gotiche che aggiungano a l’aspetto mitologico del racconto. Il brano è potente e la voce chiara che canta “Frozen, forgotten” con intensità conferma ancora il talento e il lavoro vocale di Enrico Lunelli.
“Claws of power” inizia con un chorus di chitarre liriche in quale il flauto della base musicale fa un po’ fatica ad integrarsi. Per lo meno la batteria crea un’onda di choc nel brano, da suoi soli interventi. Stupendo urlo di una quindicina di secondi verso 3.15 inutile dire che il pezzo spettina seriamente. Il gigante, svegliato di malumore, perpetua nubifragio e vilipendio nei villaggi attorno alla foresta, seguito dai Goblins già pronti a vendicarsi della loro sconfitta. Il vagabondo si dispera di avere provocato tale disastro, la sua invidia ha generato sciagure fuori controllo.
“The unknown” è la traccia la più corta la più calma di tutto questo concept album, una specie di epilogo al pianoforte, di calmo dopo la tempesta, di speranza magari, dopo la devastazione della battaglia, la distruzione fatta dal gigante e si chiude con un colpo di fulmine che rimbomba di eco fra le montagne. Qui l’opera si conclude.
Una traccia supplementare è inclusa; la versione acustica di “Ode agli elementi” presenta la canzone nella sua forma originale, suonata alla chitarra folk.
Oltre al genere musicale usato qui e destinato ad un pubblico ristretto, c’è abbastanza materia in questo album, per portarlo, sotto forma di opera, su un palco scenico con scenografie, personaggi, ballerini e costumi, talmente un’enorme teatralità trasuda dell’insieme. Evitando ovviamente di portarlo alle arene di Verona, al rischio di far crollare tutto. C’è dell’epico e del leggendario nella scrittura, c’è una sorprendente qualità nei vocali di Enrico, c’è potenza e tecnica in ogni strumentista. Non dimentichiamo che il genere Metal richiede oggi un livello alto di tecnica su ogni strumento e forte coesione fra membri per riuscire a registrare opere di questo livello. Contempliamo qui, sette anni di pazienza, di persistenza e ostinazione per finalmente pubblicare questo generoso CD di 13 brani e 50 minuti di composizioni. Sembra che il secondo album dei Servan è già avanzato in fase di scritture e prove. Solo la stabilita di questa formazione porterà il compimento della sua pubblicazione in molto meno tempo che “Tales of the forest”. Il prossimo album verrà il giorno, qualsiasi cosa succede; la tenacità di Enrico Lunelli non è più da dimostrare in questo campo.
– Secondo stacchiamo! Mi traccia una rotta per la base Nibraforbe.
– Aye, aye, sir!
– Jones? Non farmi zelo. Torniamo a casa, non hai voglia di un po’ di aria pura, eh?