– Circondati, Capitan! Ammette Jones, davanti al suo schermo.
– Facciamo le cose con ordine qua dentro, se no non ne usciamo più! Di tutti rilevamenti qual è il più vicino?
– Le Mosche di Miyagi nel 270, rotta nel 045, distanza 13 miglia, velocita 08 nodi, profondità 031, Passerano a babordo distanza minima 8,5 miglia, poi passera “Lost in a cinema” dal 240, rotta nel 060, distanza 18 miglia, velocita 05 nodi, hanno rallentato un po’, profondità 040… Passerano di dritta, distanza minima 7 miglia.
– Jones, tienimi il resto di questo groviglio di rilevamenti d’occhio con l’interferometro. Secondo, mi organizzi un giro di riposo del personale di propulsione e timoneria, saremo incollati sul fondo per un bel po’. Capo centrale? Credo aver un demo delle mosche dal 2015 in archivio, mi tira fuori il dossier. Jenkins?
– Aye aye sir?
– Tagliati i cavei!
– Ottima memoria Capitan! Risponde il Capo centrale; un tre tracce del 26 Agosto 2015 esattamente, entrato nel nostro archivio il 7 luglio 2016 per la precisione.
– E come mai è passato un anno prima di entrare in archivio?
– Perché li abbiamo scoperti sull’Enciclopedia della musica trentina dell’Ammiraglio Tosi nel 2016.
– Aaaah ecco… comunque serve rispondere ai raduni dell’Ammiraglio Tosi, eh! Dati sul demo?
– Realizzato da Paolo “Giazera” Bertolini, Niccolò Conti, Andrea Perini, Kesuke Miyagi. Registrato e mixato presso “Karatekid production” delle “Mosche di Miyagi”, master di Niccolò Conti. Credo che hanno nomi di scena. I membri sono Basso e Voce: Dario Kappetah (lo sfregiato) Batteria: Lorenzo Sbardelli (il battente) Chitarra: Alberto Albighno (il neonato) e sono di Vallarsa che è una valle a Sud-sud-Est di Rovereto. Tre tracce sul Demo: “Marino”, “La speranza di dormire”, e “Valzer con mag” che ritroviamo sull’album “D.D.T.” rilavorate a vari livelli. La cover e di Alberto Capuzzo, il vero nome del chitarrista… Niente nome di gruppo sulla copertina, solo “D.D.T.” scritto sul flacone.
– Si… Strano… Fa un po’ “Loulou, oui c’est moi”, una pubblicità per un profumo ma ambientato nella vita reale. Buono, e l’album, cosa mi racconta?
– Allora, è un otto tracce precedute da un “intro” comparabile a l’introduzione di “Marino” sul demo ma che diventa staccabile sull’album registrato al “Bleach Studio” nella val di Non, da Andrea Perini che ha fatto registrazioni, mix e master e qualche traccia di chitarra. Alessandro Fedrizzi ha prestato un sacco di strumenti e robe utili, Simon Coppolino dei “Plebei” ha suonato la fisarmonica su “Valzer per mag”. Tutto lì…
– Puntare la strumentazione a babordo, cominciamo.
Le mosche di Miyagi fanno del Math punk e quindi sono fuori dai sentieri battuti. Il contenuto musicale delle loro composizioni è piuttosto energico, con ritmi sincopati, tracce non lineari, una chitarra potente, un basso limpido e una voce teatrale che declama il testo con enfasi, su un tono tonitruante. Sono atipici, non entrano nelle caselle, non possono essere catalogati. Non cercare di metterli un’etichetta, non attaccherà. Non hanno testi leggeri e spensierati, anzi! Affrontano soggetti difficili da trattare, disturbanti, scurissimi, malsani, ansiogeni. Bisogna quasi prepararsi per ascoltare le loro composizioni, nel senso come puoi leggere Eva 2000 aspettando dal dentista, che può anche andar bene, ma per la letteratura aspetti il calmo di casa, una poltrona confortevole, un bicchiere a portata di mano e una luce decente. Per D.D.T. è lo stesso: l’ascolto è un atto volontario. Dalla nostra posizione privilegiata possiamo osservare l’evoluzione di tre tracce, fra la demo e l’album.
Un’introduzione composta di commenti di presentatori di radio o di tivù, su fondo di combattimenti conduce a “Marino”, un personaggio che sembra spezzato dalla vita che ha avuto, delle sue esperienze difficile quando era alpino. Il pezzo originale della demo era in due parti separate da uno sfogo batteristico e un assolo cacofonico di chitarra. La versione dell’album gradisce di un suono più pulito, chitarre mordenti e un bel ponte musicale suonato da due chitarre, che porta all’ultimo verso: “Se un duce, un re, un papà o un dio vi dicono “andate nel nome mio” voi impugnate il vostro coltello, squarciategli il collo come fosse un vitello, dovete ammazzare quel cane rabbioso, prima che possa morder qualcuno, meglio la testa di quel bastardo, che quella innocente di qualcun altro” … Finalmente hanno una morale… È tutta gente frequentabile.
Mi sto chiedendo perché, attraverso la quantità di paragone Demo/Album che ho avuto durante questi anni di immersioni, mi ritrovo non a preferire, ma essere più colpito dal primo lancio dei gruppi… Certe volte registrata in modo più artigianale rispetto alla versione lucida e lavorata, le “budella” delle band appaiono più spesso nelle demo. “La speranza di dormire” ha subito trasformazioni profonde. Cambio di testo completo e spolveratina sulla musica. Sara sempre questo basso nervoso a introdurre la traccia, con un suono molto più limpido, sulla versione dell’album. La batteria è veramente messa avanti su questo pezzo o al meno prende una parte preponderante nei passaggi strumentali. Ritroviamo l’ultimo verso ripetuto ossessivamente “Perché tu sei la parte più bella di me”
La seconda parte del brano comporta un ponte musicale, che porta verso spasmi cacofonici intercalati da stacchi brevissimi, prima di una conclusione al basso, identico alla frase introduttiva.
“Sogno infranto” è un mid tempo quasi vicino al lento nel primo verso, ma molto più marcato e arruffato, quasi istericamente, durante il pezzo a seconda della sostanza del testo. Sembra che le mosche di Miyagi cercano di incollare al meglio a un testo scritto per primo e poi messo in musica. La morte sul posto di lavoro è il soggetto principale della traccia. Agghiacciante, ma ben reale, il terzo verso che riguarda un bambino: “Ha un cancro al petto: l’amianto sulla tuta di papà” conseguenza diretta della mancanza di informazione, di regole di sicurezze. Non preoccupatevi la nostra Europa, al fine di fare di noi operai “competitivi” capaci di affrontare la “concorrenza” dopo avere vergognosamente aperto le frontiere per il loro profitto, sta smantellando 100 anni di conquiste sociali, codice di lavoro, regole di sicurezza, per abbassarvi al livello dell’operai cinesi, o farvi entrare in competizione diretta con quelli appena sbarcati, che saranno la mano d’opera dei trattati CETA e TAFTA: “Che tacciano le sirene che gli operai escano dal cantiere”… C’è come un odore di progresso in giro.
Sono particolarmente colpito da “Perdonami” perché descrive una lotta che il popolo Francese sta affacciando da più di un anno con manifestazione settimanale, inseguito da uno sciopero illimitato che entra nel suo secondo mese di durata. “è lontano il tempo in cui il popolo lottava sulle barricate per libertà” le barricate, ne siamo vicino. Ci si cerca ancora fra di noi una specie di Neo “perché sei l’ultima speranza della nostra umanità”; ne abbiamo uno, si chiama Jerome Rodriguez e un tiro di LBD gli ha fatto perdere un occhio e cercano di fargli perdere il secondo “accidentalmente” Ancora una volta, la band srotola i versi su un tempo lento ma intenso, per rinforzare l’aspetto del ponte musicale e del ultimo verso, attraverso un ritmo sostenuto. Una frase sbilenca fata con due chitarre, zoppica verso la fine come un ferito di manifestazione.
Capo lavoro, “Ruanda” crea il trauma con la sua vivida descrizione, giorno dopo giorno, del macello del Ruanda nel 1994 attraverso gli occhi di una vittima ragazza. Notiamo che eventi dello stesso tenore sono già successi nel 1963 ma l’occidente si interessata più delle risorse in oro, tungsteno, e altri metalli (per 67 milioni di dollari a l’anno) che alla gente del paese, le divergenze tribale, anzi… certe volte servono: Liberano terreni per le prospezioni. Il pezzo descrive, con il ritmo e l’intensità del canto, il crescendo del puro orrore “qui ci sono troppi cani non posso stare qui a guardare mentre si nutrono di mio padre”, e il decrescendo verso la morte della giovane donna “Giorno trentuno entra un uomo che mi vede e scoppia in lacrime, mentre una telecamera mi riprende, qui distesa nel mio sangue” Nonostante l’aspetto agghiacciante del testo, il brano è musicalmente accurato e riflettuto. Le voci che piangono il testo in secondo piano aggiungono al sudore freddo e facce pallide che questo pezzo genera. Pezzone!
“Lei non sa” gradisce di un intro che porta un po’ di sollievo dopo “Ruanda”. Siamo leggermente sollevati da un ritmo meccanico, da un basso suonato in basso al manico e da una chitarra leggera e aerata. C’è un po’ di calma e di pace in questo pezzo… Durerà due minuti: “Come la tua gioventù sdraiata sotto il sole a sorseggiare droghe che lentamente muore mentre il turista lunga la Venida fa finta di niente si nasconde indifferente” porta la rabbia del basso e i colpi della batteria. Poi dopo qualche rima in portoghese ci si passa anche la sovramoltiplicata, in cima a una voce urlata, su un ritmo frenetico. Mi sto chiedendo quale demonio abita la mente del trio.
Questo è un Valzer, sia nel titolo che nel ritmo a tre tempi, che guida la fisarmonica di Simon nel ballo. “Valzer con mag” non può ovviamente rimanere lineare e bilancia alternativamente fra rock, valzer e tango quasi per simbolizzare “La mia rabbia, il mio odio ed il grande perdono”
“Il brigadista” era per definizione un soggetto difficile da trattare. Un uomo spiega dal fondo della sua cella il gesto che l’ha portato li. Ci si può quasi rispettare la convinzione che porta, non deviando mai della sua scelta: “In realtà sono qui proprio perché non ho mai parlato, seduto e muto, mentre la guardia mi spezzava il naso”. Fuori posto ovunque ha scelto la lotta armata, è fuori posto in prigione, fuori posto in isolamento, e sarà fuori posto dopo la morte: “Signore […] dimentichi, forse là, c’è un posto per me”. Basso e batteria martellano metodicamente su un tempo medio. Voci di posseduti sussurrate, appaiono in secondo piano o per dire un’unica parola nel testo, accentuano l’atmosfera di malessere, fra la preghiera urlata, e chitarre dal gusto metallico arrugginito. Quasi otto minuti per trattare questo soggetto, e con la sua larga proporzione strumentale, il brano conclude l’album.
In fine io consiglierei puramente di possedere le due registrazioni, tanto la Demo ha suoi aspetti grezzi e suoi suoni ruvidi che portano l’intensità voluta allo spessore dei pezzi. Le mosche sono qua per tirarvi(mi) fuori dalla vostra zona di confort. I soggetti trattati sono contemporanei e le Mosche vedono il nostro mondo con un occhio nero, la speranza di un condannato e con una spietata freddezza. I cuori teneri non usciranno interi dallo studio dei loro testi, e la musica intensa potrà anche farvi cercare la strada più corta per Cristina Aguilera (per esempio) che sarà più rassicurante. Il vero mondo, certe volte, non si può guardare direttamente negli occhi. Le mosche di Miyagi non sono piacevoli… Sono necessari.
Sopra la nostra posizione, immobili sul fondo, nello scuro della profondità, rilevamenti numerosi percorrono spensierati l’immenso volume del mare. A bordo del Wyznoscafo sono punti che strisciano sullo schermo di Jones, l’operatore sonar… So già chi arriva a portata di strumentazione…
Una scommessa vinta. La rassegna da camera di Fondazione Arena di Verona torna con un…
di Martina Bortoloti von Haderburg * Bolzano, Auditorium Haydn, 10 dicembre 2024, ore 20 Silvia…
24 novembre 2024 ore 17.30 Auditorium del Conservatorio Il sogno di Johannes Brahms racconto di…
Con le celebrazioni per la festa di Santa Cecilia, protettrice della musica, iniziano ufficialmente le…
Stagione dei Concerti 2025 Il Salotto della Buona Musica dal 15 gennaio al 15 dicembre…
Svelato il titolo dell’opera della tredicesima edizione del Festival “Vicenza in Lirica” previsto per settembre…