– Attualmente, arrivano tutti nella nostra direzione Capitan! “Geisterchor” Nel 170, rotta nel 045, distanza 24 miglia, velocita 05 nodi, profondità 075…
– Nettuno stridente! Le avevo dimenticati questi! E poi?
– “Bob and the Apple” Nel 350, rotta nel 145, distanza 30 miglia, hanno rallentato parecchio; velocita 5 nodi, profondità sempre 050. Poi “Nogaar”, Nel 070, rotta nel 245, distanza 35 miglia, velocita 08 nodi, profondità 039. “Grizzly” Nel 190, rotta nel 060, distanza 46 miglia, velocita 04 nodi, profondità 015.
– Capo centrale?
– Niente è cambiato, Capitan, il trio malefico di sempre: Tom Strong ai synths e voce, Stefano Nicolini alla chitarra, Francesco Armani al basso, registrato a casa, mixato e masterizzato da Raul Terzi tutti schedati… ho qualcosa di nuovo, magari se li interessa…
– Al suo parere, Capo? Siamo in missione; mi interessa o no???
– Arhmm… Eeeeeh sì… “Silent Carrion” ha rilasciato un EP 4 tracce per Natale: “Ambient “ si chiama… c’entra, ma non c’entra… non sapevo.
– Si, si, capo! C’entra… Tom strong è “Silent Carrion” … C’entra! Jenkins! mi metti in funzione il risonatore basse frequenza che vediamo cosa ha nelle trippe questo rilevamento.
– Aye aye, sir!
Per ricapitolare un po’ tutto Tom Strong (di vero nome Sigismondo Barbottina o qualcosa del genere) è “Silent Carrion” un’entità tenebrosissima che fa colone sonore per sacrifici, feste tribali e celebrazioni di sette dell’apocalisse. E dallo split del “Eco del Baratro”, un’altra entità MOLTO festiva delle Giudicarie, crea il trio Geisterchor includendo Nicolini e Armani nella formazione. Per qualcosa di francamente più radiofonico…. No…dai! Scherzavo. Questo album è la versione “noise” del famoso lavoro non finito di Wolfgang. Geisterchor riprende solo la struttura del requiem come sorgente di ispirazione e ogni tanto qualche estratto della composizione originale è incluso in sottofondo della nuova versione. Ci si esclama, ci si vocifera, ci si salmodia, ci si urla, non ci si canta in questo album… Il testo proviene generalmente da estratti di romanzi o estratti del requiem vero e proprio, il tutto scelto secondo delle suggestioni che la band vuole trasmettere. Una sola voce; quella di Tom Strong si avventura nella lettura dei testi e nella pronuncia del Latino, italiano, francese, inglese e tedesco, su un soggetto pieno di gioia: la messa per i morti alla moda Giudicarie. Senza scherzare, questo è l’album più ascoltabile del trio. Adesso bisogna sapere posizionarsi davanti a un’opera del genere. Mi sono spesso chiesto, conoscendomi, cosa mi fa rimanere a prestare attenzione a quel genere di suono. Cosa fa che tengo le cuffie in testa invece di rigettare in blocco questi suoni distorti, queste atmosfere scurissime?
Penso sia la stessa cosa che mi ha spinto ad ascoltare il primo “Eco del baratro” particolarmente difficile a assimilare con Armani e Nicolini che cantavano su due metriche diverse. Per la sola voglia di “crescere” musicalmente non rigettare gli ascolti difficili e trovare nell’ascolto ripetuto, elementi che confortano l’ascolto successivo. Le Giudicarie, nell’allargamento del mio spazio musicale, tengono un posto preponderante. Un privilegio che il RAP non avrà mai la possibilità di fare. Non star lì a sbavarmi sulle scarpe, avete le vostre bestie nere, ho le mie…
Una campana triste e lugubre precede “Introitus: Requiem aeternam” e la sua chitarra che cammina a passo di funerale, e che ricopre un testo in latino poi in tedesco. Non saremo qui a far festa, questa introduzione ribassa tutti gli sguardi verso terra. Un paesaggio in bianco e nero si disegna, c’è foschia fra i boschi, predicatori in vestito monastico sporco seguono i nostri passi, le loro mani son sporche di viscere. Non puoi uscire a voglia, una volta lì, devi provar a restare in piedi, fino alla fine…
“Kirie” arriva come un evento inaspettato: una chitarra e un basso a tono francamente rock si sfogano su un ritmo programmato sostenuto. Il finale si confonde fra l’ultima frase in tedesco “Die Lüge wird zur Weltordnung gemacht” ripetuta su fondo di gran coro e di organo di chiesa.
“Sequentia: Dies irae” è più elettronico ed è accompagnato da una chitarra dissonante e distorta e di un basso metodico, che sforna due note meccanicamente. Il testo e poco percettibile, solo la lettura dell’inserto può determinare con molta concentrazione, la presenza di parole in inglese, tedesco, francese, latino, e italiano: “Giorno d’ira, quel giorno distruggerà il mondo”. Gioia saltami addosso.
“Sequentia: Tuba mirum” e completamente disordinato, caotico e lugubre, quasi estratto da un album di “Silent Carrion” la voce tenebrosa scandisce parole in latino. Fa un po’ paura. Onestamente uno che mi parla cosi, non li darei neanche la chiave di un deposito rifiuti… Passa all’inglese sulla fine del brano; niente da fare, mi tengo la chiave…
“Sequentia: Rex tremendae” è leggermente più strutturato e spinto da una chitarra elettrica ruvida intorno a questa frase declinata in varie lingue: “Rex tremendae majestatis , salva me, fons pietatis , qui salvandos salvas gratis”… Non avevo l’intenzione di pagare per essere salvato. Il finale sembra provenire da un vinile di musica classica girato a senso contrario. Aggiunge una dissonanza e un disordine ad un pezzo rimasto fino ad ora strutturato.
“Sequentia: Recordare” “Un caricare e un rovesciar di sacchi, e noi risponderemo con bestemmie. Un abbandono più forte del sonno. Stasera verremo anche noi al passar della falce, che pareggia tutta l’erba del prato” Vari testi sono sclamati in varie lingue, tranne che in latino. Questo pezzo sembra descrivere la morte, ma dalla prospettiva umana, senza considerare quello della chiesa: “Je bois éternellement. Je bois pour la soif à venir”… Cheers!
“Sequentia: Confutatis” è stranamente strutturato come una canzone normale, nel senso che c’è un ritornello e versi. Ma non c’è luce all’orizzonte e non penso che c’è ne sarà una finché il disco non sia finito. Un basso basico ma metodico cadenza macchinalmente il sentiero per una chitarra stridente che piange dietro una voce determinata che vocifera in inglese: “just torture without end, still urges, and a fiery deluge, fed with ever… burning sulphur unconsumed” rimane l’immagine di una torre costruita con enormi pietre scure e dalla quale si esce un membro alla volta.
“Sequentia: Lacrimosa” Una chitarra zoppicante trascina dietro di sé tutto il peso del pezzo, aiutata nel suo cammino, da un basso che tira il carico con pena, passo a passo. Una voce è seguita dalla sua ombra scura e poco distante, e accentua l’aspetto cavernoso del discorso declamato in inglese poi in francese. “C’est la gloire des Dieux, c’est le grenier mystique, C’est la bourse du pauvre et sa patrie antique, C’est le portique ouvert sur les Cieux inconnus”. Dalla descrizione solo la morte sembra portare sollievo a noi, poveri mortali.
“Offertorium: Domine Jesu” ha un odore di mattatoio descritto con un orrenda precisione da una voce più distorta del solito. Non c’è metrica nel discorso. Il testo è declamato a ritmo di prosa. Le corde sono incastrate in un loop a ritmo ferroviario.
“Offertorium: Hostias” è un pezzo destrutturato. Sia la chitarra che il basso sembrano suonare per conto loro, tastiere discrete descrivono bassi. Il testo è arretrato nella massa sonora e viene dalla seconda porta giù nel corridoio, poi si spappola progressivamente per diventare inudibile.
“Sanctus” riprende questo aspetto meccanico-distruttore di “Silent Carrion”. Arriva nella cronologia dove anche due minuti di chitarra rabbiosa su ritmo di spacca pietre inizia a creare cicatrici mentali. Per lo meno la mancanza di testo su you tube rilega il discorso di Tom dietro una tenda sonora aggressiva. Il finale sembra essere un vinile suonato a rovescio…
“Benedictus” sembra posto lì in negativo rispetto alla traccia precedente. Una tastiera estende i suoi suoni bassi come struttura per la chitarra leggera di Stefano. Poi si riparte per vocali sul sempiterno tono dell’incantazione, della predica. L’atmosfera del brano non può fare altro che degenerare con la sua progressione. Totalmente sconosciuta la lingua del testo urlato: “Erongis led emon len eneiv ehc iuloc ottedeneb. Sislecxe ni annaso…”
“Agnus dei” è un traffico strano di cori sintetizzati e mixati su una base di rumori distorti e sfuocati come base ritmica.
“Communio: Lux aeterna” è la conclusione del opera. Un lavoro pensato, che si conclude su una voce demoniaca che salmodia un testo in tedesco, su una colona sonora delle tenebre. Per la luce eterna… siamo lì…
A pensarci bene se guardiamo tutti elementi presenti (lingue sconosciute o parlate al rovescio, dischi suonati al senso contrario, passare da una lingua a l’altra senza motivi particolari) vuole dire una sola e unica cosa: sono posseduti tutti tre… Magari anche il tecnico suono… Suonano la musica del maligno sulla terra… Ghhhhh… Abitano in Mordor … A l’APT di Pieve di Bono vendono collane di aglio e pallottole di argento, casomai gli incroci per strada… Naaaa, dai! Il fatto di avere la capacità di ascoltare tale tipo di suono accerta solo e unicamente la volontà e la possibilità che hai, di potere o volere uscire della MATRICE.
Punto. Tutto lì.
– Jones! Se mi ricordo bene, sono i “Bob” che sono i più vicini vero???

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