Danza

Rovereto (Tn). Oriente Occidente 2024. Dal Messico alla ricerca di altre identità

Rovereto, Teatro Zandonai, 5 settembre 2024, ore 20.30
44° Oriente Occidente
𝗦𝗼𝘂𝘀 𝗹𝗲𝘀 𝗳𝗹𝗲𝘂𝗿𝘀
𝗖𝗼𝗿𝗲𝗼𝗴𝗿𝗮𝗳𝗶𝗮 Thomas Lebrun
𝗗𝗮𝗻𝘇𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶 Antoine Arbeit, Raphaël Cottin, Arthur Gautier, Sébastien Ly, Nicolas Martel
𝗠𝘂𝘀𝗶𝗰𝗵𝗲 Trio Monte Alban, Maxime Fabre, Susana Harp, La Bruja de Texcoco (mixata da Seb Martel), Banda Regional Princesa Donashii, Rocio Durcal, Hector Berlioz, Eddy de Pretto, estratto da MUXES, film di Ivan Olita, prodotto da Bravo Studio e con la voce di Felina Santiago Valdivieso
𝗗𝗶𝘀𝗲𝗴𝗻𝗼 𝗹𝘂𝗰𝗶 Françoise Michel
𝗦𝗼𝘂𝗻𝗱 𝗱𝗲𝘀𝗶𝗴𝗻 Maxime Fabre
𝗖𝗼𝘀𝘁𝘂𝗺𝗶 Kite Vollard, Thomas Lebrun
𝗠𝗮𝘀𝗰𝗵𝗲𝗿𝗲 Ruua Masks
𝗦𝗰𝗲𝗻𝗼𝗴𝗿𝗮𝗳𝗶𝗮 Xavier Carré, Thomas Lebrun
𝗖𝗼𝘀𝘁𝗿𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝘀𝗲𝘁 Atelier du T°, CDN de Tours
𝗗𝗶𝗿𝗲𝘁𝘁𝗼𝗿𝗲 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗶𝗰𝗼 Gérald Bouvet
𝗥𝗲𝘀𝗽𝗼𝗻𝘀𝗮𝗯𝗶𝗹𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝘀𝘂𝗼𝗻𝗼 Clément Hubert
𝗔𝘀𝘀𝗶𝘀𝘁𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗮𝗹 𝗽𝗿𝗼𝗴𝗲𝘁𝘁𝗼 Anne-Emmanuelle Deroo
𝗔𝗻𝘁𝗿𝗼𝗽𝗼𝗹𝗼𝗴𝗼 Raymundo Ruiz González
𝗥𝗶𝗻𝗴𝗿𝗮𝘇𝗶𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝘀𝗽𝗲𝗰𝗶𝗮𝗹𝗶 Felina Santiago Valdivieso, Benito Hernandez
𝗣𝗿𝗼𝗱𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 Centre chorégraphique national de Tours
𝗖𝗼𝗽𝗿𝗼𝗱𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 Équinoxe – Scène nationale de Châteauroux, La Rampe-La Ponatière – Scène conventionnée-Échirolles

ph.Frédéric Iovino

Ricerca antropologia o manifesto politico sulla fluidità di genere? Dalla ricerca di Thomas Lebrun sull’antropologia dei Mux del Messico nasce questa narrazione coreografica dedicata a questo genere umano caro agli Zapotechi. Originaria del Messico meridionale, nella regione di Oaxaca, la comunità 𝗠𝘂𝘅𝗲𝘀, di etnia zapoteca, è considerata rappresentante di un vero e proprio terzo genere socialmente riconosciuto. Nascono maschi e si sentono femmine. In questa società matrilineare vengono concessi loro gli stessi diritti e doveri delle donne, ma non è loro consentito sposarsi. Da questa ricerca condotta nei dintorni di Juchitán de Zaragoza, dove vive la maggior parte della comunità, Thomas Lebrun, coreografo francese, esperto di estetica esplorativa, ne ha fatto un pezzo per cinque danzatori, che racconta di come in alcuni angoli del mondo, ciò che in Europa è ancora sottoposto a grande pregiudizio, sia invece possibile, riconosciuto e libero che suddivide il mondo solo tra cose e esseri animati. Una delle più emblematiche di loro, Felina Santiago Valdivieso, offre la sua testimonianza registrata come una colonna sonora raccolta da Thomas Lebrun e dai suoi team durante una residenza di lavoro sul posto una narrazione che si sormonta come colonna sonora agli inserimenti musicali ricchi di suggestioni tra il classico occidentale e la tradizione messicana in tutte le sue sfaccettature. I protagonisti, essi stessi Muxes entrano riccamente vestiti come da, tradizione con sontuosi abiti colorati e corone di fiori che ricordano lo stile etnico di un Messico folkloristico. A poco a poco cominciano a muoversi in un corteo leggermente dondolante che le fanno danzare leggere le loro sottovesti intorno a loro, con delicati gesti di ricamo. Solo parzialmente si può dire di assistere ad una coreografia, piuttosto ad un muto teatro di narrazione.
A poco a poco si spogliano delle loro vesti colorate, lasciandoci scoprire cosa si nasconde sotto i fiori con i loro atteggiamenti inizialmente calmi e sicuri. Lasciano intuire una violenza che rimbomba fuori dalla loro comunità, in un Messico dominato dalla criminalità e omofobo, mediato dalla cultura latina che ammette solo i termini “lei” e “lui”.I movimenti da sinuosi e lenti si fanno frenetici lasciando volare via i capelli e le braccia e dalle vesti femminili compare un torso nudo maschile con una maschera floreale ma con le sembianze di un teschio sull’andamento sinuoso delle note di Spectre de la rose di Hector Berlioz. C’è tanta morte in questa narrazione che traspare in alcune ballate come quella che rivoca il mito della LLorona, immagine di donna che urla la sua disperazione per l’abbandono del amato e solo uccidendo i figli, potrà riaverli sempre con sè, come queste maschere funebri raffigurante visi scheletriti che costituiscono anche immaginario iconico del Messico popolare e pre-colombiano.
Come le rivisitazioni in chiave moderna delle musiche primordiali come la Danza de la Pluma come di altri ritmi della tradizione anche commerciale o mixati. La conclusione diventa amara e ci ricollega alla simbologia della morte con i danzatori vestiti completamente di nero, maschile all’occidentale, che entrano in scena in una processione funebre con mazzi di fiori lasciati alla fine in terra, a sancire una morte di un ultimo relitto di una comunità in via d’estinzione nel mare dell’omologazione delle mode

Federica Fanizza

Laureata in Filosofia all'Università di Bologna e curatrice degli archivi comunali di Riva del Garda, ha seguito un corso di specializzazione in critica musicale a Rovereto con Angelo Foletto, Carla Moreni, Carlo Vitali fra i docenti. Ha collaborato con testate specializzate e alla stesura di programmi di sala per il Maggio Musicale Fiorentino (Macbeth, 2013), Festival della Valle d'Itria (Giovanna d'Arco, 2013), Teatro Regio di Parma (I masnadieri, 2013), Teatro alla Scala (Lucia di Lammermoor, 2014; Masnadieri 2019), Teatri Emilia Romagna (Corsaro, 2016) e con servizi sulle riviste Amadeus e Musica. Attualmente collabora con la rivista teatrale Sipario. Svolge attività di docenza ai master estivi del Conservatorio di Trento sez. Riva del Garda per progetti interdisciplinari tra musica e letteratura. Ospite del BOH Baretti opera house di Torino per presentazioni periodiche di opere in video.

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