Arena di Verona, 5 settembre 2024 ore 21.00
AIDA, Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
–
Aida María José Siri
Amneris Ekaterina Semenchuk
Radamès Gregory Kunde
Il Re Giorgi Manoshvili
Ramfis Alexander Vinogradov
Amonasro Youngjun Park
Un messaggero Riccardo Rados
Una sacerdotessa Francesca Maionchi
Direttore Daniel Oren
Regia Gianfranco De Bosio
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Coreografia Susanna Egri
Primi ballerini Eleana Andreoudi, Denys Cherevychko, Gioacchino Starace
Orchestra, Coro e Ballo della fondazione Arena di Verona
L’ultima Aida della stagione. Dalla prima, in scena il 14 giugno e da Noi recensita qui, sono passati pochi mesi ma molte rappresentazioni, con vari cast, diversi direttori e ben due allestimenti. Se in apertura il cartellone areniano ha optato per la modernissima idea di Poda, fatta sostanzialmente d’astrazione e tecnologia, in chiusura torna alla tradizione, proponendo la storica versione di Aida del 1913, ripresa nel 1982 da Gianfranco de Bosio e riproposta poi, periodicamente, nelle stagioni degli ultimi quarant’anni.
L’allestimento lo conosciamo: sfingi e geroglifici dominano la scena in una maestosa veduta su un Egitto sostanzialmente semplice. Quasi stereotipato, a tratti schietto, ma senza dubbio bello. Bello nelle scenografie, nelle luci, e bello anche per la semplicità dei movimenti scenici previsti da una regia che si limita a dipingere un quadro ad ogni scena. E tutto funziona perfettamente; dai momenti più gloriosi ai passaggi più intimi, il contesto che avvolge gli artisti è adeguato, razionale e bello, bello davvero.
Dal podio, Daniel Oren contribuisce alla riuscita di un’ottima rappresentazione, mettendo in campo la solita energia e la solita sensibilità, scegliendo generalmente tempi snelli e sonorità decise, e curando come sempre i più preziosi dettagli della partitura. Buono il suono dell’Orchestra della Fondazione Arena, ben coesa, sonora, generosa nell’escursione dinamica e precisa nell’insieme. Bene anche la coordinazione di buca e palcoscenico, non sempre facile specie in produzioni colossal come questa. Sempre in forma il Coro della Fondazione, preparato da Roberto Gabbiani, che regala al pubblico momenti tra i più coinvolgenti della serata, attraverso la maestosità dell’impatto sonoro di alcune scene e la cura dei delicatissimi tratti di altre.
Convince il cast, che vede impegnata nel ruolo del titolo l’uruguaiana María José Siri. La sua è un’Aida consolidata, che può contare su uno strumento vocale efficace e su una robusta preparazione tecnica. Buona l’interpretazione, sia musicale sia scenica, seppur a tratti meno carismatica di quanto il ruolo permetterebbe. La rivale Amneris è Ekaterina Semenchuk, che con decisione realizza un personaggio appassionato e coinvolgente. Ottima l’emissione dei fiati e precisa la lettura; il risultato è una performance sonora e curata, che conquista rapidamente l’affetto del pubblico.
Gregory Kunde dimostra, in questa occasione, di avere le carte in regola per mettere in scena un Radamès credibile e di buona realizzazione musicale. Ben calato nel ruolo, il tenore conferisce personalità alla parte, riuscendo – in alcune arie più che in altre – a sfatare quel giudizio di “voce un po’ stanca” che le recenti rappresentazioni hanno fatto inevitabilmente emergere. Riesce anch’egli a guadagnarsi, infatti, un ampio apprezzamento da parte del pubblico. Alexander Vinogradov si conferma un Ramfis solenne, profondo e carismatico. E lo stesso può dirsi del Re, interpretato da Giorgi Manoshvili, anch’esso sonoro, dal tono grave e autoritario.
Colpisce per intensità del suono e per il vigore con cui interpreta Amonasro il Baritono Youngjun Park. Il suo è uno dei personaggi meglio riusciti della rappresentazione, grazie alla combinazione di un timbro singolare e di una lettura attenta e personale, supportata da una notevole capacità tecnica. Completano egregiamente il cast Riccardo Rados nei panni del messaggero e Francesca Maionchi in quello della sacerdotessa. Molto apprezzata la coreografia di Susanna Egri, che si guadagna non pochi applausi a scena aperta, anche grazie ai primi ballerini Eleana Andreoudi, Denys Cherevychko e Gioacchino Starace.
Il numeroso pubblico si dimostra coinvolto e soddisfatto, applaudendo generosamente i solisti al termine delle arie più celebri. Dispiace ahimè che il meteo non collabori: una leggera pioggia interrompe il finale del secondo atto, facendo attendere il pubblico una ventina di minuti prima di poter vedere la fine della scena, e un acquazzone chiude definitivamente la serata a pochi minuti dal termine dell’Opera, nel bel mezzo del processo a Radamès. Questa volta ce ne andiamo (seppur tristi di aver rinunciato a “O terra, addio”) con la speranza che lui e Aida possano ancora salvarsi.
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