Brescia, Teatro Grande 12/12/2021
Il Trovatore
dramma in quattro parti
libretto di Salvadore Cammarano
dal romanzo El trovador di Antonio García Gutiérrez
musica di Giuseppe Verdi
prima rappresentazione assoluta:
Roma, Teatro Apollo, 19 gennaio 1853
Direttore Jacopo Brusa
Regia Roberto Catalano
Scene Emanuele Sinisi
Luci Fiammetta Baldiserri
Assistente alle Luci Oscar Frosio
Costumi Ilaria Ariemme
Personaggi e Interpreti
Manrico Matteo Falcier
Il Conte di Luna Leon Kim
Leonora Marigona Qerkezi
Azucena Alessandra Volpe
Ferrando Roberto Lorenzi
Ines Sabrina Sanza
Ruiz Roberto Covatta
Vecchio Zingaro Riccardo Dernini
Messo Davide Capitano
Maestro del Coro Diego Maccagnola
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Coro di OperaLombardia
Coproduzione dei teatri di OperaLombardia
Allestimento ripreso dalla produzione dell’Ente Concerti “Marialisa De Carolis” di Sassari 2019
FOTO Umberto Favretto
Giunge al Teatro Grande la produzione itinerante del verdiano “Il Trovatore”, che con due repliche nella città di Brescia ne chiude la stagione operistica. Il capolavoro verdiano si presenta in un’interessante e gradevole produzione curata dai Teatri di OperaLombardia, che ha già fatto tappa – dal novembre scorso – a Cremona, Pavia e Como. Nella data di Domenica 12 dicembre, la meravigliosa Sala Grande è pressoché sold out, e i posti liberi paiono potersi contare sulle dita di una mano. La bacchetta è in mano al giovane Jacopo Brusa, che alla guida dell’Orchestra milanese “I Pomeriggi Musicali”, si guadagna indubitabilmente la sua quota di merito per il successo della rappresentazione. Del suo lavoro risalta immediatamente la coraggiosa scelta di intraprendere più d’una variazione rispetto alla partitura originale, introducendo passaggi che – senza sottintesi – si rifanno al noto “Le trouvère”, che Verdi stesso adattò al libretto francese di Émilien Pacini pochi anni dopo la prima romana. Musicalmente, Brusa restituisce un’interpretazione curata ed efficace, che coinvolge l’ascoltatore con un trascinante gioco di duplici contrasti, sia sul piano dinamico – dove non mancano ampie escursioni di intensità – che su quello agogico, che presenta diverse interessanti scelte di andatura. Il tutto risulta comunque ragionato e coerente, e si accompagna ad una direzione che appare chiara ed armoniosa, con un gesto proporzionato ed ordinato. Impossibile non notare l’attenzione rivolta alla scena e ai musicisti sul palco, i quali ricevono scrupolose indicazioni dal direttore, che spesso è coinvolto al punto di cantare le parti del coro e mimare quelle dei solisti.
Apprezzabile la prestazione dell’orchestra, il cui suono è gradevole e l’esecuzione perlopiù pulita ed accurata, a meno di isolati passaggi in cui si avverte qualche imperfezione di insieme. Il coro di OperaLombardia, preparato da Diego Maccagnola, ricopre nel complesso con efficacia il proprio ruolo, e nonostante si dimostri a tratti leggermente indeciso, esegue in modo ragguardevole il celeberrimo Vedi! le fosche notturne spoglie, così come il Miserere dell’atto quarto. Interessante il cast, che vede impegnati – nei panni degli appassionanti personaggi dell’Opera – cantanti preparati e dalla giovane età media. Leonora è Marigona Qerkezi, che sfoggia con tecnica una voce piacevole e ben misurata, fondamentalmente morbida, ma decisa quando necessario. Senza alcuna apparente difficoltà si muove con scioltezza tra i registri, e in ognuno di questi riesce ad arrivare con intensità di suono, ma mai a discapito dell’espressività. La sua interpretazione è inoltre ben calata nel personaggio, e di buona presenza scenica.
Le si accompagna un eccezionale Manrico di Matteo Falcier, che combina saggiamente al carattere eroico del personaggio aspetti romantici che non sempre si colgono nelle varie rappresentazioni, restituendo così al Trovatore un indiscusso ruolo di protagonista, che non di rado risulta parzialmente condiviso con altri attori della scena. Anche la sua voce ha i caratteri del belcantismo, con omogenei passaggi di registro e agilità nel fraseggio, e l’utilizzo che ne viene fatto è sobrio ed elegante, senza eccessivi ornamenti. Il risultato è una performance di grande precisione, cura e gusto, in cui un’interpretazione vincente del personaggio si fonde con una tecnica ed un virtuosismo considerevoli. Di certo non guasta – inoltre – la semplicità con cui Falcier sembra muoversi tra le note più acute, che gli permette di soffermarsi senza fatica su passaggi belli tanto quanto delicati.
Suo rivale, il Conte di Luna è Leon Kim, che interpreta tutto sommato con successo il personaggio, rendendone molto bene l’indole. Dal punto di vista vocale, si presenta decisamente in contrasto con il tono chiaro e luminoso dei due innamorati protagonisti, proponendo per converso un timbro alquanto ombroso. Manca forse – in alcuni punti – di naturalezza e spontaneità, e tende talvolta a sforzare apparendo impreciso e poco disinvolto. Ottima l’esibizione di Roberto Lorenzi, che compare in teatro in sostituzione di Alexey Birkus, ahimè incomodato. Nonostante il presumibile corto preavviso, si propone con decisione nel ruolo di un severo e scaltro Ferrando, dimostrando padronanza della propria voce e notevole capacità tecnica, calandosi elegantemente nella parte. Entra bene nel proprio carattere anche Alessandra Volpe, a cui tocca il controverso ruolo della zingara Azucena. Vocalmente non appare tuttavia eccezionale, macchiando l’esecuzione con qualche percepibile difetto, e risultando – nel complesso – di sonorità un po’ scarica. Il cast si completa egregiamente con il Ruiz di Roberto Covatta, con Sabrina Sanza nei panni di Ines, Riccardo Dernini nel ruolo di un vecchio zingaro, e Davide Capitanio in quello del Messo. Se dell’aspetto musicale si può restare più che soddisfatti, lo stesso vale per l’allestimento della produzione, curato per i diversi aspetti da una squadra decisamente vincente. La regia è di Roberto Catalano, e si avvale delle efficaci scene preparate da Emanuele Sinisi, degli appropriati costumi di Ilaria Ariemme, e delle suggestive luci di Fiammetta Baldiserri, che divengono parte integrante della regia stessa. Nel complesso, il loro lavoro è molto funzionale alla cupa vicenda, e ne trasmette con successo l’angoscia e il tormento.
Difficile definire un’epoca per l’ambientazione, che si fa sfuggire pochi dettagli che siano riconducibili ad un circoscritto periodo temporale. Le scene sono infatti pressoché sempre vuote, con un limitatissimo numero di elementi che però, assieme ai costumi, sono sufficienti per ipotizzare un tempo vicino al secolo in cui il libretto colloca originariamente la vicenda. Lo stesso può dirsi degli spazi, anch’essi poco definiti e privi di particolari, ma caratterizzati da un’atmosfera buia e tetra. Protagonista sul palco, dall’inizio alla fine, è una simbolica distesa di cenere, che i personaggi continuano a smuovere in un apparente tentativo di liberarsene. Alla fine una grande luce sorge sul fondale, ad illuminare finalmente l’oscurità in cui si sono svolti fino a quel punto i fatti, ma senza sollevare il mondo da quello strato di cenere, che è ormai divenuto irremovibile. L’utilizzo di più sipari semi-trasparenti rende il tutto ancora più suggestivo, aggiungendo una certa profondità alle scene, e rendendo possibili visioni di sagome e intriganti giochi di ombre. A confermare la qualità della rappresentazione, lineare ed essenziale in ogni suo aspetto, lunghi applausi nel corso dell’Opera e al suo termine, con particolare apprezzamento nei confronti di Falcier e della Qerkezi. La produzione, che come detto ha quasi concluso il suo giro per la Lombardia, farà infine tappa a Bergamo, nelle date del 18 e del 20 febbraio 2022.