Il terzo titolo in cartellone per il 43° Rossini Opera Festival, “Otello”, è andato in scena giovedì 11 agosto alla Vitrifrigo Arena, riscontrando un ottimo successo di pubblico.
Si tratta di una nuova produzione che vede la regia affidata alla pesarese Rosetta Cucchi, che legge il mestissimo dramma della gelosia in chiave contemporanea, come un femminicidio ante litteram. Ives Abel è alla direzione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e del Coro del Teatro Ventidio Basso (preparato da Giovanni Farina); la compagnia di canto è formata da Enea Scala nel ruolo del titolo, Eleonora Buratto (Desdemona), Evgeny Stavinsky (Elmiro), Dmitry Korchak (Rodrigo), Antonino Siragusa (Iago), Adriana Di Paola (Emilia), Julian Henao Gonzalez (Lucio – Gondoliero), Antonio Garès (Doge); le scene sono di Tiziano Santi, con elementi scultorei dell’atelier Davide Dall’Osso, costumi di Ursula Patzak, luci di Daniele Naldi.
L’opera, che alla sua prima rappresentazione, nel 1816 al Teatro del Fondo di Napoli, ottenne un successo grandioso, è la prima per la quale il giovane Rossini (all’epoca ventiduenne) prevede tre atti in luogo degli usuali due. Nel contesto culturale dell’epoca i drammi di Shakespeare non erano universalmente noti come lo sono ai giorni nostri; Rossini scelse questa storia come particolarmente adatta a un’opera seria e il librettista, Francesco Berio di Salsa, prese il soggetto da “Othello” di Jean-François Ducis, traduzione e riduzione francese della tragedia di Shakespeare. La regista Cucchi ne imposta l’interpretazione in senso sociale e psicologico piuttosto che storico: i traumi, le ferite, i condizionamenti anche ancestrali che ognuno porta nel subconscio sono accresciuti da una società indifferente e che rifiuta il diverso. Il finale cruento della storia è anticipato, mentre scorre la Sinfonia, sotto forma di titoli di cronaca e da Emilia che, come in un sogno premonitore, veglia il feretro; una scenografia cupa e un utilizzo della luce che evidenzia piuttosto il suo contrario dichiarano e prefigurano il lutto fin dall’inizio dell’azione. “Siamo in un tempo vicino a noi non bene identificato”, così Cucchi nelle note di regia “in una società estremamente benestante con regole non dette che sono invariate da secoli, con invidie e odi celati da un perbenismo necessario. Otello è un militare di carriera omaggiato per le sue gesta ma mai accettato come parte di una classe sociale a lui distante per nascita e status. Soffre di questa mancata appartenenza e crescono in lui il distacco e la rabbia. Ma la violenza psicologica e verbale pesa, oltre che su Otello, anche su ognuno degli altri personaggi: Desdemona costretta dal suo status a una vita non scelta, Iago divorato dall’invidia e dal suo arrivismo, Rodrigo incapace di uscire dagli schemi della società cui appartiene”.
Il manoscritto autografo di “Otello”è conservato presso la Fondazione Rossini di Pesaro; nella versione rappresentata al Teatro Argentina a Roma, per il Carnevale 1820, Rossini modificò in lieto fine il finale tragico; l’allestimento al ROF 2022 non comporta detta variante. L’opera fu composta dopo il disastroso debutto del “Barbiere di Siviglia” a Roma e dopo “La gazzetta”; a Napoli Rossini era legato da contratto con l’impresario del San Carlo, Domenico Barbaja e aveva a disposizione una delle migliori compagnie di cantanti dell’epoca, col mezzosoprano Isabella Colbran, protagonista delle opere rossiniane più importanti e due tenori dalle differenti caratteristiche, quali Andrea Nozzari, dalle risonanze baritonali e Giovanni David, tenore acuto e acrobatico nell’agilità. Il pubblico che affolla il Teatro del Fondo, dato che il San Carlo è chiuso per lavori, accoglie trionfalmente l’opera; il finale è di inaudita violenza e sottolinea la grandiosità dello sforzo teatrale di Rossini. È Desdemona la vera protagonista, il suo destino infelice appare ineluttabile sin dalla prima entrata in scena, talmente la mestizia caratterizza il personaggio. La sua importanza viene accresciuta dalla compresenza di molte parti maschili di rilievo (tre tenori e un basso), Rodrigo, Iago, Elmiro, oltre al Moro di Venezia; l’altro ruolo femminile, quello di Emilia, fondamentale per tenere il filo della narrazione, ne è molto distante per entità del cantato. La produzione del ROF di quest’anno è di alta qualità, con il direttore Abel che riesce a dare quell’impulso indispensabile per una resa brillante, con buona coordinazione e sincronismo esemplare, che si è fatto apprezzare nei momenti chiave: in “Otello” l’orchestra gioca un ruolo fondamentale anche per i consistenti episodi di raccordo tra le entrate in scena. Bene impostata, gradevole e potente l’emissione di Enea Scala, del quale si ammira anche la presenza scenica e la teatralità, generosa nel rendere il personaggio più drammaticamente impegnativo, con tutte le turbe e gli eccessi che lo connotano; avvincente il duetto Iago-Rodrigo, dove la voce impostata e costante di Antonino Siragusa si affiancava a quella irruente, vibrante e duttile di Dmitry Korchak, un duetto che inizialmente ha il carattere di duello vocale e che risolve poi, concludendosi, nella consonanza e nell’omoritmia. Non solo in questo episodio Siragusa e Korchak brillavano (quest’ultimo si distingueva per timbro chiaro e squillante, oltre che per l’agilità negli episodi di bravura), contribuendo validamente alla piena riuscita, drammaturgica e musicale, del lavoro. Non era da meno il basso Evgeny Stavinsky, efficace e caratterialmente coerente con la parte di Elmiro, ruolo cardinale soprattutto per la sua valenza, determinante, nella relazione con la figlia Desdemona. Nessuna sfasatura negli interventi del Doge, del Gondoliero e di Lucio i quali, quantunque parti secondarie, sono tenuti a efficacia esecutiva e presenza all’altezza del contesto. Apprezzabile la timbrica chiaro/scura del “mezzo” Adriana Di Paola, un’Emilia partecipe e presente. Meravigliosa la Desdemona di Eleonora Buratto: voce espressiva e adeguatamente connotata al ruolo, potente da riuscire a prevalere nella concitazione del “pieno”, aggraziata e struggente nella “Canzone del salice”, connotata costantemente da quella patina di tristezza che esprime la condizione emozionale del personaggio.
Rivelano la loro efficacia, suscitando l’adeguato effetto, funzionale alla drammatizzazione (e del conseguente coinvolgimento emotivo) la danza del fantasma di Isaura in interazione con la Canzone di Desdemona, l’adunata di donne vittime di violenza alla fine del secondo atto, gli spezzoni di filmato in bianco e nero (con l’effetto suggestivo dello specchio antico dove le immagini appaiono) che mostrano episodi di violenza maschile, richiamanti quella che nel dramma sarà scatenata dalla cieca gelosia. Nella loro sobrietà i costumi ben si accordano con le scene, quale elemento giocato con discrezione, col risultato di dare così adeguato risalto alla musica e alla recitazione.
La sala manifestava sonoramente il proprio gradimento, riservando a Buratto le esternazioni più entusiastiche ma decretando il trionfo di tutti, al termine di uno spettacolo impegnativo e veramente intenso.
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