Firenze, TEATRO DEL MAGGIO
Mercoledì 10 marzo 2021, ore 20
In streaming sul sito del Maggio
https://www.maggiofiorentino.com/events/zubin-mehta-53/
Direttore Zubin Mehta
Pianoforte Rudolf Buchbinder
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
FABIO VACCHI
Beethoven, e la primavera ritrovata. Per orchestra
Prima esecuzione assoluta
Commissione del Maggio Fiorentino per il periodo marzo-maggio 2020
WOLFGANG AMADEUS MOZART
Le nozze di Figaro, Ouverture
WOLFGANG AMADEUS MOZART
Sinfonia in sol minore K. 550
Allegro molto / Andante / Menuetto: Allegretto. Trio / Finale: Allegro assai
WOLFGANG AMADEUS MOZART
Concerto in re minore K. 466
per pianoforte e orchestra
Allegro / Romance / Allegro assai
Si ringrazia ENEL per il sostegno al progetto
“Nuove musiche per questo tempo”
Doveva essere il concerto principe della stagione sinfonica 20-21 del Maggio Musicale Fiorentino e invece dobbiamo gustarcelo in streaming da mercoledì 10 marzo dalle ore 20 sui canali Youtube del Teatro nella registrazione avvenuta il 5 marzo a porte chiuse nel teatro fiorentino. Un concerto da grande cartellone internazionale e con un programma monografico mozartiano salvo il brano appositamente commissionato a Fabio Vacchi. Brano contemporaneo ma non avulso dalla collocazione tematica del programma previsto, una antologia del salisburghese rappresentativo della sua produzione tra ouverture liriche, sinfonie e concerti per pianoforte. Quante volte si sono ritrovati assieme Zubin Mehta e Rudolf Buchbinder sui palcoscenici mondiali e quante volte per assemblare i concerti di Mozart per pianoforte e orchestra? La discografia ci propone una lista ben fornita che esemplifica affinità elettive interpretative di un identico climax culturale. Un concerto stile viennese per quel clima di raffinatezza interpretativa di scelte musicali di tradizione che evidenziano Mozart come compositore capace di creare nuove situazioni musicali nella sua epoca tra committenza e libera creatività, verso nuovi linguaggi.
Del resto la composizione di Fabio Vacchi, Beethoven e la primavera ritrovata in prima esecuzione assoluta è stata commissionata dal Maggio fiorentino per il periodo marzo maggio 2020, nel periodo della chiusura forzata pandemica, del tutti prigionieri nelle proprie case. Vacchi stesso dichiara di essersi inspirato alle lettere dal carcere di Mandela sempre piene di speranza saldamente legate al mondo musicale del Jazz, blues e Beethoven: ritrovare la primavera per uscire da questa situazione pandemica, una speranza che ha per modello l’Inno alla gioia dalla IX Sinfonia di Beethoven. E la nuova composizione non si discosta del resto dal suo linguaggio forse quello piú accademico delle sonate e delle composizioni di piccolo organico. Si è trattato quindi di un ascolto piacevole non problematico dove le frasi musicali del compositore di Bonn, ampiamente accennate, vengono poi travasate e mischiate nella partitura in un gioco di variazioni ma che non disperdono il modello di riferimento. Passare quindi dalla parte monografica dedicata a Wolfgang Amadeus Mozart, non è stato quindi un salto nel buio, ma verso certezze armoniche ben consolidate e di quel filo rosso di quel clima viennese e di quanto sia stato di ispirazione per le generazioni future. Il concerto quindi voleva essere specchio di una creatività “viennese” che si muoveva tra accademismo e formalità, ma lasciando spazio all’intuizione per la ricerca di altre forme musicali e a quell’“inquieta serenità “che caratterizza il ciclo delle composizione legate alla sua permanenza viennese. E così lo scorrere tra le note della Ouverture delle Nozze di Figaro (1786), Sinfonia n. 40 K 550 (1788), Concerto per pianoforte K466 (1785) hanno disvelato un particolare aspetto della vita compositiva del musicista salisburghese, fatta di difficoltà, di incomprensione e di scarso successo che in quegli stava incontrando negli ambienti della capitale imperiale e nel momento e di quanto di queste difficoltà tentata di trasformarle in innovazioni della scrittura musicale. Ma per rimanere in tema con la locandina e cercando di non disperdere questi legami intrinseci che emergono, troviamo che Ludwig van Beethoven conosceva molto bene la sinfonia K 550 tanto da ricopiarne uno dei suoi quaderni 29 battute della composizione, fino a comporre per il Concerto in re minore le cadenze lasciate in bianco da Mozart, un concerto che ebbe grande fortuna per tutto l’Ottocento, come simbolo di un Mozart precursore del romanticismo in musica. La Sinfonia n. 40 in Sol minore K 550 fu composta da Wolfgang Amadeus Mozart a Vienna durante il mese di luglio (mese molto produttivo per lui) del 1788. Essa è la seconda di tre sinfonie (le altre sono la n. 39 e la n. 41 “Jupiter”) composte in rapida successione durante l’estate del 1788. Fino ad allora la sinfonia non aveva avuto un ruolo di particolare spicco nel catalogo di Mozart. Eppure quarantuno sinfonie non sono poche per un compositore vissuto appena trentacinque anni. Ma la maggior parte di esse risalgono al periodo dell’infanzia e dell’adolescenza, tra i nove e i diciotto anni d’età, senza però apportare nulla di determinante alla storia di questo genere musicale. Invece dai ventanni in poi Mozart compose solo nove sinfonie, che sotto l’aspetto puramente quantitativo sono quasi trascurabili in mezzo ai numeri del suo catalogo risalenti a quegli stessi anni. Sotto questo riguardo Mozart anticipa la concezione beethoveniana della sinfonia come possente creatura musicale, dotata di una sua personalità unica e inconfondibile, che la rende diversa da tutte le altre. Quasi si tratti di un profetico e drammatico annuncio di tempi nuovi, affrontati in prima persona e senza reticenze, con tutto il peso ossessivo di tristissime esperienze quotidiane.
Ma Mehta non l’appesantisce di ulteriori significati questi annunci di tempi futuri musicali che proiettano Mozart verso altri mondi sonori e questa dimostrando con la lettura fluida e scorrevole de Ouverture dalle Nozze di Figaro (Prima rappresentazione, Vienna, BurgTheater, 1 Maggio 1786), che ci offre un riassunto nella sua unità compositiva della folle giornata nel palazzo del Conte di Almaviva. E lo stesso to distacco lo mantiene nella lettura della sinfonia lasciandola lontana dagli eccessi di interpretazioni a posteriori della sinfonia, ma conservando la fluidità e la leggerezza delle intuizioni compositive senza appesantire il gesto direttoriale nei confronti dell’orchestra. Un orchestra, quella del Maggio Musicale Fiorentino che ben conosce l’esigenze del maestro Mehta annoverandolo come direttore onorario a vita. Sorprende la fatica che compie il direttore appoggiandosi ad un bastone, all’avvicinarsi al podio, come la leggerezza, fluidità e essenzialità nell’uso della bacchetta.
Certamente l’attesa era per il pianista Rudolf Buchbinder nel concerto per pianoforte. Pianista e direttore, considerato uno dei grandi interpreti del nostro tempo, da oltre 60 anni suona in tutto il mondo con le più importanti orchestre e i più celebri direttori. E si trova a confrontarsi con Mehta su quello che è considerato il più problematico dei concerti per pianoforte mozartiano proprio per le sue caratteristiche di modernità e di aperture verso il futuro. Il Concerto per pianoforte K.466 fu composto da Mozart nel 1785, ed è il decimo dei Concerti scritti dopo il trasferimento a Vienna, avvenuto nel 1781. Nei quattro anni successivi alla rottura con la corte salisburghese Mozart si era affermato rapidamente presso il pubblico della capitale dell’impero, nella veste però non tanto di compositore quanto di pianista, come virtuoso alla moda. Il ristretto circolo di aristocratici e facoltosi borghesi che onorava della sua presenza le “accademie” organizzate dal giovane salisburghese veniva irresistibilmente attratto dagli aspetti di novità del pianismo mozartiano, dalla scorrevolezza brillante e non cembalistica, dalle inedite escursioni dinamiche, dai controllati effetti percussivi del tocco. Tali caratteristiche infatti rispondevano perfettamente al gusto effimero e disimpegnato della maggior parte degli ascoltatori; e il Concerto per pianoforte e orchestra era considerato come genere di intrattenimento e svago per eccellenza. Mozart trasformò il genere del Concerto in un vero e proprio laboratorio di sperimentazioni formali, linguistiche, contenutistiche. L’esito fu quello di una nuova concezione del rapporto fra pianoforte e compagine orchestrale come confronto di diverse individualità, in una ottica che precorre quella del Concerto beethoveniano e poi romantico. Proprio in questa prospettiva il Concerto K. 466, eseguito e diretto dall’autore l’11 febbraio 1785, apre nuove frontiere, forzando il virtuosismo verso una “drammatizzazione” che tende a un coinvolgimento emotivo dell’ascoltatore (e non è certo un caso se questo Concerto fu l’unico fra quelli di Mozart a rimanere in repertorio durante il secolo scorso). La stessa tonalità minore esclude a priori la componente più facilmente brillante ed esteriore del virtuosismo. L’intero brano è improntato ad una tragicità quasi teatrale, splendidamente calibrata su una dialettica di contrasti interni, formali, tonali, fra “solo” e “tutti”. Travolta ogni corrente tipologia galante o militare, Mozart opta qui per un marcato dualismo fra pianoforte e orchestra, fino a investire di significati drammatici la stessa struttura formale. Buchbinder ha tenuto a freno la musica nonostante l’onnipresente tentazione di romanticizzarla. Il pezzo include tutti i materiali essenziali per quel trattamento, dal tema cupo e minaccioso agli scoppi di rabbia. Poiché è stato scritto nel 1785, quando Mozart non aveva ancora 30 anni, il solista ha saputo mantenere un accurato equilibrio per garantire che non fosse catapultato nel XIX secolo, senza soccombere a romantiche indulgenze e tentazioni. Il pianista austriaco gioca molto con l’ambivalenza della tastiera tra mano destra egli accenti chiaro scurali della sinistra in un abile lavoro di mani. Frammenta il discorso con l’orchestra accentuando le sospensioni di ritmo specie nel finale del primo movimento. Nel secondo riprende la Romance ma sembra che Buchbinder non ci creda più di tanto al tema idillico, arcadico del motivo centrale mozartiano. Qui Mehta lascia spazio al pianoforte l’orchestra rimane sullo sfondo alla composizione, sono nel momento dell’attacco del primo movimento le offre la possibilità di mostrare la qualità del suono e quanto lascia intuire di come sarà il prosieguo del concerto che tiene a bada impeti drammaturgici, attacchi orchestrali dirompenti, ma in una coerente lettura che getta un occhio piuttosto a ciò che sarà la dominante della cultura viennese da lì a qualche anno, all’epoca Biedermeier dove tutto è misura e armonia. Nella ripresa del terzo movimento la parte orchestrale sembra di altra epoca con continui ribattuti e cadenze usuali nel Mozart giovanile con un accentuato virtuosismo sulla tastiera e nelle parti all’unisono. Lo stile viennese, fatto di misura e di consolidata tradizione, è risultato vincente oltre che protagonista volutamente nascosto.E il bis, omaggio a Franz Schubert con Impromtus, n.2, si fa degna conclusione di questa esperienza musicale d’eccezione.
La mancanza del pubblico si è fatta sentire per quella assenza di applausi all’atto finale nei confronti del più amato dei direttori musicali che opera nel glorioso Maggio Musicale e con uno dei più rispettati interpreti del panorama pianistico mondiale di tradizione
Buchbinder, Mehta, Vacchi: artisti della vecchia guardia emersi da decenni di gavetta e di ricerca. Nulla in comune con la meteora bionda che oggi riempie le cronache per la comparsata al Teatro Ariston. E anche chi critica le sue esternazioni linguistiche non si cura di esaminare il suo curriculum né di visionare le sue interpretazioni. Federica Fanizza, perché non fai un viaggio esplorativo nel vuoto assoluto della disinformazione musicale?