Musica

Venezia. Teatro La Fenice. Dittico d’avanguardia

Venezia, Teatro La Fenice, 19 settembre 2024, 0re 19
LA FABBRICA ILLUMINATA di Luigi Nono
per  voce femminile e nastro magnetico
libretto di Giuliano Scabia e Cesare Pavese
(da Due poesie a T per il finale)
musica di Luigi Nono
prima rappresentazione assoluta: Venezia, Teatro La Fenice, 15 settembre 1964
edizione critica a cura di Luca Cossettini
editore proprietario Casa Ricordi, Milano
soprano Sarah Maria Sun
ERWARTUNG (Attesa) di Arnold Schönberg
monogramma in un atto e quattro scene, Op. 17
libretto di Marie Pappenheim
musica di Arnold Schönberg
prima rappresentazione assoluta: Praga, Neues Deutsches Theater, 6 giugno 1924
editore proprietario Universal Edition Wien
rappresentante per l’Italia Casa Ricordi, Milano
Una donna Heidi Melton
Orchestra del Teatro La Fenice
direttore Jérémie Rhorer
regia Daniele Abbado
scene e light designer Angelo Linzalata
costumi Giada Masi
movimenti coreografici Riccardo Micheletti
regia del suono Alvise Vidolin
Video designer – Studio Vertov di Luca Scarsella (Milano)
foto di Lisetta Carmi © Martini & Ronchetti, courtesy archivio Lisetta Carmi
ph Michele Crosera

ph Michele Crosera

Musica del secolo scorso, questo progetto che coniuga come nuovo allestimento del Teatro La Fenice due composizione che esemplificano la ricerca della musica del ‘900 La fabbrica illuminata (1964) di Luigi Nono e l’Erwartung (1909 -1924) di Arnold Schönberg occasione per celebrare rispettivamente il 100° anniversario della nascita di Luigi Nono, e nel 150° anniversario della nascita di Arnold Schönberg. Composizioni manifesto di un percorso di ricerca, partito certamente dalle innovazioni dell’avanguardia storica viennese attuate con la frantumazione del lessico compositivo armonico. Dopo 50 anni ecco la necessità di comunicare la modernità con altre metodologie di creazione del suono, attuate da Luigi Nono con l’elettronica. In comune, tra i due compositori divisi cronologicamente da due guerre mondiali e dalla frantumazione di imperi e ideologie dittatoriali, l’esigenza di comunicare la loro contemporaneità espressa sia l’oggettività della riproducibilità tecnica o con una estetica che portasse in scena le nuove tensioni sociali e della psiche umana. Per questi nostri tempi, costituiscono ancora avanguardia sonore e creative tanto lontane per noi come anni ma tanto prossime per le motivazioni ideologiche che le hanno indotte. Per Luigi Nono si trattava di creare un nuovo teatro musicale, antinaturalistico e antimimetico e La Fabbrica illuminata ne rappresenta certamente uno dei progetti più emblematici della ricerca sonora di quegli anni. Fu composta nel 1964 su testi di Giuliano Scabia e registrato presso lo Studio di Fonologia di Milano, con l’assistenza tecnica di Marino Zuccheri. All’interno dell’opera è inserita anche un frammento di Due poesie a T. di Cesare Pavese. Con questo spettacolo la musica elettronica si faceva politica. A Luigi Nono non interessava registrare i rumori di fabbrica in maniera fredda, bensì li rielaborò all’interno di una opera che mettesse assieme elementi operistici, poetici e rumoristici, volti a drammatizzare la condizione del lavoro di un operaio anticipando di qualche anno quello che saranno le grandi rivendicazioni del 1968. I rumori della fabbrica furono stati registrati presso la Italsider di Genova/Cornigliano. Il testo include frasi come “fabbrica dei morti la chiamavano”, “su otto ore solo due ne intasca l’operaio”, “relazioni umane per accelerare i tempi”, “quanti minuti-uomo per morire?” L’incontro con Giuliano Scabia, giovane poeta interessatissimo alle potenzialità della scena, fece nascere un progetto rivolto al proletariato e alle drammatiche condizioni in cui versano le masse dei lavoratori. Progetto, tra l’altro, nato su commissione per la Rai come composizione per il Prix Italia, che quell’anno si sarebbe tenuto a Genova. Così nacque quella che poi sarebbe diventata il progetto: in quel luogo simbolico vennero registrati il materiale acustico della fabbrica e le voci degli operai, cui si univa una massiccia raccolta di materiali cartacei relativi alle condizioni di lavoro cui erano sottoposti i dipendenti. Il risultato è stato un brano per la scena relativamente breve (poco più di quindici minuti), suddiviso in quattro parti: «Esposizione operaia», «Giro del letto», «Tutta la città» e «Finale» impostato su quattro versi di Due poesie a T di Cesare Pavese. La Rai, alla fine, rifiutò il componimento contestandone l’aspetto marcatamente politico, e l’attesa première a Genova, prevista per il 12 settembre, fu cancellata. Vide la luce in prima assoluta in forma di concerto tre giorni dopo, il 15 settembre, all’interno del XXVII Festival Internazionale di Musica Contemporanea diretto da Mario Labroca, che allora si svolgeva alla Fenice. Il consenso fu unanime punto di svolta nel percorso artistico di Nono. In questa stagione lirica è stata proposta in forma scenica, per l’occasione celebrativa, negli spazi monumentali della Fenice di Venezia e la sala è stata trasformata,  per il progetto di Nono, uno spazio acustico che avvolge e sollecita acusticamente il pubblico che ha riempito la Sala grande, con le installazione sonore curate da Alvise Vidolin riuscendo anche a immergere l’ascoltatore dell’ambiente sonoro elettronico e a far emergere la voce solista, qui affidata al soprano tedesco Sarah Maria Sun, una specialista del genere. La scrittura vocale, che si muove su base elettronica, del resto estremizza le emissioni che sono essenzialmente verbali con una linea di canto che si mostra solo sul finale sui versi di Cesare Pavese “passeranno i mattini, passeranno le angosce, non sarà sempre cosi, ritroverai qualcosa”. Lo spettacolo con la regia di Daniele Abbado si presenta con una scena spoglia con un l’impianto scenico minimale ricreato da Angelo Linzalata che visualizza sull’impiantistica del palcoscenico per ricreare l’ambiente industriale con le sue luci fredde con proiezioni di interni dell’impianto siderurgico di Genova Cornigliano realizzati al tempo della composizione. La regia si limita a una movimentazione umana in cui i figuranti agiscono con movimenti minimali attorno alla protagonista vocali, in vestiti operaie da cui progressivamente si svestono per diventare i “morti” della fabbrica dei Morti”.

ph Michele Crosera

La seconda parte è stata affidata al dramma musicale in un atto della durata compressa di 30 minuti dell’Erwartung di Arnold Schönberg. Esiste ancora una scrittura musicale di disintegrazione della forma armonica ma che sostiene la scrittura drammaturgica del libretto di Marie Pappenheim, medico attivista politico e scrittrice, scoperta dal polemista austriaco Karl Kraus che pubblicò sulla rivista Die Fackeln alcune sue poesie. Schönberg le chiese nel 1909 un libretto e gli presentò questa storia drammatica di attesa e di morte. Tra l’altro Erwartung fu rappresentato la prima volta a Praga nel giugno nel 1924 altra coincidenza di calendario. La composizione viene definita come manifesto del “teatro musicale espressionista”; esiste una orchestrazione strutturata ma frammentata impostata su una vocalità che estremizza le escursioni della voce di soprano.

Gli organici del Orchestra della Fenice diretti da Jérémie Rhorer, specializzato in questo repertorio “al limite” ha saputo ben definire i confini tra musica e la vocalità prestante del soprano americano Heidi Melton, cantante essenzialmente wagneriana ma esperta nel ruolo (ha sostituito un’annunciata a inizio stagione Angela Meade, altro soprano americano fisicamente prestante) efficace nella dizione molto puntale e nell’ offrire una interpretazione struggente del personaggio. Qui la regia di Abbado non ha brillato per creatività. Ha utilizzato alcune pedane della scena precedente, vi ha fatto sdraiare le comparse svestite già in precedenza, con la stessa ambientazione vuota con a vista le strutture teatrali. Peccato l’abbigliamento della protagonista, addobbata con una veste color rosso cardinale e adornata di una lunga collana di perle che amplificava la già sua figura abbastanza matronale; dal sublime a ridicolo il passo è breve, ma la bravura vocale della cantante ha fatto passare oltre. Lo spettacolo ha destato il compatto entusiasmo del pubblico capace di andare oltre gli ascolti di un repertorio di tradizione

Federica Fanizza

Laureata in Filosofia all'Università di Bologna e curatrice degli archivi comunali di Riva del Garda, ha seguito un corso di specializzazione in critica musicale a Rovereto con Angelo Foletto, Carla Moreni, Carlo Vitali fra i docenti. Ha collaborato con testate specializzate e alla stesura di programmi di sala per il Maggio Musicale Fiorentino (Macbeth, 2013), Festival della Valle d'Itria (Giovanna d'Arco, 2013), Teatro Regio di Parma (I masnadieri, 2013), Teatro alla Scala (Lucia di Lammermoor, 2014; Masnadieri 2019), Teatri Emilia Romagna (Corsaro, 2016) e con servizi sulle riviste Amadeus e Musica. Attualmente collabora con la rivista teatrale Sipario. Svolge attività di docenza ai master estivi del Conservatorio di Trento sez. Riva del Garda per progetti interdisciplinari tra musica e letteratura. Ospite del BOH Baretti opera house di Torino per presentazioni periodiche di opere in video.

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