Venezia | Teatro La Fenice | 24 settembre 2023, ore 19.00
Lirica e Balletto | Stagione 2022 – 2023
La Traviata
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma La dame aux camélias di Alexandre Dumas (figlio)
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry Rosa Feola
Alfredo Germont Piero Pretti
Giorgio Germont Gabriele Viviani
Flora Bervoix Valeria Girardello
Annina Valentina Corò
Gastone, visconte di Letorières Cristiano Olivieri
Il barone Douphol Armando Gabba
Il dottor Grenvil Mattia Denti
Il marchese d’Obigny Matteo Ferrara
Giuseppe Cosimo D’Adamo
Un domestico di Flora Nicola Nalesso
Un commissionario Carlo Agostini
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice | Maestro del coro Alfonso Caiani
Direttore Stefano Ranzani
Regia Robert Carsen, ripresa da Christophe Gayral | Scene e costumi Patrick Kinmonth | Coreografo Philippe Giraudeau | Light designers Robert Carsen e Peter Van Praet
Allestimento Fondazione Teatro La Fenice
***
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, La Traviata è uno dei titoli più rappresentati nei teatri di tutto il mondo ma è anche un’opera legata a doppio filo al Teatro veneziano non solo perché vide il suo debutto, il 6 marzo 1853, ma anche perché fu questo titolo a inaugurare, nel novembre 2004, la prima stagione lirica della Fenice ricostruita. Ispirata al dramma in abiti contemporanei di Alexandre Dumas fils, presentato a Parigi nel 1852, La Traviata viene proposta nell’incisivo allestimento – anch’esso in abiti contemporanei – del regista canadese Robert Carsen, con le scene e i costumi di Patrick Kinmonth, la coreografia di Philippe Giraudeau e le luci di Robert Carsen e Peter Van Praet: un allestimento che a distanza di poco meno di vent’anni dal suo debutto, oltre a essere diventato un pezzo imprescindibile della programmazione della Fenice, è stato selezionato dal prestigioso sito francese Culturetrip.com tra i migliori dieci spettacoli d’opera al mondo (produzione d’eccellenza della stagione 2015 – 2016).
Centrale per Carsen è il ruolo del denaro, alla base dello stile di vita e della posizione sociale di Violetta, nonché il modo in cui ha plasmato il suo futuro. La mancanza di denaro nell’atto finale, significa non solo che la femme à parties è stata lasciata morire in una casa fatiscente, ma è anche abbandonata dal suo esercito di ammiratori. Un’idea semplice, perfettamente integrata nel dramma e presentata con successo, senza sminuire gli altri temi dell’opera, come l’ipocrisia borghese che saturava la società parigina e la paura che la tubercolosi incuteva alla gente durante il XIX secolo. Particolarmente efficaci le scene del secondo atto, riproducono il netto contrasto tra le due vite di Violetta. La prima scena è ambientata nel giardino alberato della sua casa di campagna. Tutto sembra tranquillo, ma le banconote che cadono come foglie dai rami suggeriscono un’imminente tempesta. La seconda scena ci apre le porte di un nightclub; uno schermo si alza per rivelare un palcoscenico, che si riempie rapidamente di ballerine e ballerini, vestiti da cowgirl e cowboy con paillettes argentate, mentre gli ospiti benestanti, seduti intorno a piccoli tavoli, si godono lo spettacolo.
Rosa Feola nel ruolo di Violetta è una superstar, gestisce il dramma e la vulnerabilità di Violetta con enorme cura, fin dal primo momento in cui la vediamo sul palco nelle battute iniziali dell’ouverture. Il soprano napoletano ha tutte le necessarie sfumature drammatiche per interpretare la doppia vita di una famosa cortigiana che conosce l’amore per la prima volta e di un’ardente affamata di vita che affronta la sua morte. La sua performance è letteralmente impressionante: i momenti di quiete vibrano con una delicatezza simile a quella delle piume e nelle sequenze più tragiche la voce si libera facendo scomparire il resto del mondo. Particolarmente toccante la sua interpretazione del terzo atto, reso in maniera incredibilmente viscerale, qui la Feola riesce ad esprimere la sofferenza fisica dell’eroina in modo vivido e intenso, specialmente nell’Addio del passato. Dalla ripetizione dell’aria, ogni passaggio cresce di intensità, come se Violetta, venendo a patti con la sua prossima morte, fosse disposta a lottare un’ultima volta per sopravvivere. Ogni acuto è più intenso del precedente e la sua voce sembra piangere. L’ultima nota è tenuta con tutta la forza che la cantante riesce a raccogliere, con una piccola ultima messa di voce che ci fa sentire ancor di più l’interruzione del canto, l’addio ad ogni speranza di vita. Dopo un breve attimo di silenzio, il pubblico esplode nella meritatissima ovazione più prolungata della serata.
Piero Pretti presenta un Alfredo giovane ma non troppo dinamico, svelto nel raggiungere le vette delle sue emozioni, pur capace di esprimerle senza timore. L’interpretazione nel suo complesso risulta coerente e confortevole, senza particolari picchi di coinvolgimento, se non nello sprezzante Ogni suo aver tal femmina, caratterizzato da un legato fluido che rende il passaggio un vero e proprio lamento. Gabriele Viviani nei panni di Giorgio Germont ha una voce potente e stabile in tutta la gamma. La sua sincerità di fronte a una situazione in cui è difficile immedesimarsi completamente risulta credibile, quasi comprensibile. Orchestra e interpreti in scena raggiungono l’apice della loro espressività nei momenti finali di Violetta, in cui Pretti e Viviani riescono a trovare una buona connessione tra loro, seguendo quest’ultimo viaggio in modo elegante e convincente.
Gli altri membri del cast svolgono un buon lavoro sul palco. Particolarmente degno di nota Armando Gabba nel ruolo del barone Douphol, composto e minaccioso al tempo stesso.
Stefano Ranzani riesce ad estrarre ogni emozione dalla musica. L’approccio alla partitura risulta nel suo complesso elegante e sobrio, con i cantanti sempre in primo piano e lasciati liberi di brillare. Nell’Allegro Agitato che accompagna il gioco delle carte (spesso troppo agitato, con risultati caotici) il tempo di Ranzani è sufficientemente veloce da evocare l’energia della scena senza perdere la chiarezza del canto. Orchestra e coro dimostrano di conoscere nel profondo l’opera, offrendo un’ottima performance. Da segnalare il solo del primo violino (Miriam dal Don) nel terzo atto. A fine spettacolo, successo caloroso per tutti.
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