Verona, Teatro FIlarmonico, 4 marzo 2022 ore 20
Rigoletto
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Direttore Francesco Ommassini
Regia Arnaud Bernard
Scene Alessandro Camera
Allestimento della Fondazione Arena di Verona
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Orchestra, coro e tecnici della Fondazione Arena di Verona
Il duca di Mantova Ivan Magrì
Rigoletto Luca Micheletti
Gilda Eleonora Bellocci
Sparafucile Gianluca Buratto
Maddalena Anastasia Boldyreva
Giovanna Agostina Smimmero
Il Conte di Monterone Davide Giangregorio
Marullo Nicolò Ceriani
Matteo Borsa Filippo Adami
Il Conte di Ceprano Alessandro Abis
La Contessa di Ceprano Francesca Maionchi
Un usciere di corte Nicolò Rigano
Un paggio della Duchessa Cecilia Rizzetto
Rigoletto torna a Verona, dove la stagione al Filarmonico ripropone l’opera nell’allestimento realizzato ormai 11 anni fa per una coproduzione internazionale che coinvolgeva la fondazione areniana ed altri teatri europei. Il lavoro di Arnaud Bernard, già ripreso nel 2016, vede questa volta a capo della regia Yamal das Irmich, nome ormai consolidato tra i registi del teatro veronese. Sul piano dell’interpretazione registica, un elemento si distingue indubbiamente per la sua originalità, grazie ad una scena inaspettata e certamente ricca di significato. Durante il preludio, infatti, il sipario si apre su un ambiente buio e misterioso, in cui si scorgono alcune figure – tra cui il duca di Mantova – condurre quelli che sembrerebbero degli arcani esperimenti scientifici. Sul banco dell’oscuro laboratorio, il “difforme” Rigoletto pare anzitutto oggetto di studio e di ispezione da parte del duca, che indossando un camice bianco si muove spavaldamente attorno al giullare per osservarne le curve forme, e per misurarne la gobba. Le insolite circostanze, insieme al noto ruolo del buffone di corte, mero di strumento del divertimento, fanno pensare ad un Rigoletto artificiale, creato in laboratorio dal tetro lavoro di una squadra di scienziati spregiudicati, guidata dal crudele duca. La scena, di certo riuscita, comunica con efficacia la disumanità che caratterizza molti dei personaggi, primo tra tutti il Duca di Mantova, ed introduce egregiamente una vicenda che ruota attorno al vizio, alla noncuranza della morale e alla capacità dei potenti di asservire i più deboli. Le note iniziali, con il ravvisabile ritmo doppio puntato che si protrarrà nell’Opera a rimarcare il tormento della famosa “maledizione”, si fondono perfettamente con il clima che la regia vuole costruire attorno a questa primissima scena. Il timbro degli ottoni, storicamente associato al luogo o all’idea dell’inferno, evoca in aggiunta un ulteriore senso di perdizione, di dannazione, contribuendo a rafforzare l’aspetto maligno di quanto accade sul palco. Al termine del preludio, così come la musica vira bruscamente su un tema allegro e brioso, anche l’allestimento scenico abbandona in fretta i caratteri angosciosi e cupi, trasformando il palco nella sede di una gran festa. Da qui, tutto prende una piega decisamente più tradizionale, e quell’idea che tanto colpisce in apertura pare abbandonata e fa attendere – per quasi tutta l’opera – un ritorno o un rimando ai misteriosi esperimenti scientifici. Nulla di tutto ciò torna però in scena, come se la contestualizzazione iniziale servisse ad accendere qualcosa nell’ascoltatore, al fine di farlo guardare con una luce diversa a tutto il resto della vicenda, che si svolge – sul piano della regia – in maniera perlopiù canonica.
Funzionali ed eleganti si presentano le scene di Alessandro Camera, caratterizzate da
un’altissima libreria che fa da contorno a contesti diversi, tutti animati da giochi di scale che salgono e scendono spostate da funi. Tra queste scene, si distingue un’interessante città in miniatura composta da tanti piccoli edifici, tra cui la casa di Rigoletto, in una copia in scala ridotta, ma uguale a quella vista pochi istanti prima.
L’orchestra è fuori dalla buca, come si è ormai abituati a vedere, ed è condotta da Francesco Ommassini, anch’egli volto noto per la fondazione veronese. Il suono è tutto sommato bello e curato, e non si scorgono problemi di insieme. Se l’escursione dinamica e il contrasto sonoro ci sono, ciò che manca è la proporzione tra il volume complessivo dell’orchestra e quello dei solisti sul palco. Non sono pochi – infatti – i passaggi in cui le parti orchestrali sopraffanno del tutto le voci, rendendole quasi impercettibili. Un lavoro più minuzioso sul dimensionamento sonoro dell’orchestra avrebbe potuto – forse – restituire il giusto spazio acustico ai cantanti, equilibrando una disproporzione la cui causa, questo è certo, è la collocazione inusuale imposta dalla situazione sanitaria. Il bilancio della performance musicale, comunque, è senz’altro positivo, con un’esecuzione apprezzabile anche da parte del coro, diretto dal Maestro Ulisse Trabacchin.
Per quanto concerne il cast, Rigoletto, grazie alla grande interpretazione di Luca Micheletti, si aggiudica senza dubbio il ruolo di vero protagonista, in altri casi parzialmente condiviso con l’eccentrico personaggio del duca. L’impostazione è decisa e convincente, e le caratteristiche timbriche e vocali collocano inequivocabilmente il Baritono tra i cantanti della nuova generazione, senza che molto ci sia da rimpiangere di quanto tipico delle interpretazioni più “classiche”. Micheletti si cala egregiamente anche nel carattere controverso del personaggio, proponendo con espressività un Rigoletto tormentato e perseguitato dagli avvenimenti. Decisamente in contrasto la voce di Eleonora Bellocci, che dà vita ad una Gilda di sonorità antica. Questo non compromette un’ottima esibizione, che dà modo al soprano di dimostrare la capacità tecnica ed espressività di cui certo non manca. Leggermente meno efficace – forse – l’interpretazione del delicato personaggio, la cui fragilità e afflizione non sempre paiono colte al massimo.
Ivan Magrì è il duca di Mantova, ed entra perfettamente nel personaggio, mostrandone fin
da subito la sfrontatezza e l’altezzosità, apprezzabili sia dal tono e dalla dizione del cantato,
sia dai movimenti. Vocalmente è preciso ed ordinato, e la sua è una buonissima
performance, anche se pare soffrire – in alcune circostanze – della difficile situazione
acustica, arrivando non sempre con il massimo dell’intensità.
Esemplare il lavoro di Gianluca Buratto nei panni di Sparafucile: la capacità vocale, la voce decisa e potente e l’ottima caratterizzazione data al personaggio fanno dello spietato sicario una delle figure meglio riuscite di questa rappresentazione. La Maddalena di Anastasia Boldyreva risulta forse un po’ meno coinvolgente, ma comunque ben eseguita e vocalmente interessante.
Completano il cast Agostina Smimmero nei panni di Giovanna, Davide Giangregorio in quelli del conte di Monterone, Nicolò Ceriani (Marullo), Filippo Adami (Matteo Borsa), Alessandro Abis e Francesca Maionchi (conte e contessa di Ceprano), Nicolò Rigano (usciere di corte) e Cecilia Rizzetto (paggio).
Nella serata di venerdì 4 marzo, terzo appuntamento dopo la prima del 27 febbraio e la
replica del 2 marzo, il teatro è pressoché pieno, con un pubblico soddisfatto e che include –
con piacevolissima sorpresa – qualche gruppetto di giovanissimi ascoltatori.