Pergine Festival 7 luglio 2023
TROPICANA ore 19.00
Frigoproduzioni
PREMIO UBU 2017 A CLAUDIA MARSICANO MIGLIORE COME ATTRICE UNDER 35
PREMIO UBU 2021 A FRANCESCO ALBERICI MIGLIOR ATTORE UNDER 35
Con Francesco Alberici, Salvatore Aronica, Claudia Marsicano, Daniele Turconi
Drammaturgia collettiva a cura di Francesco Alberici
Scenografia Alessandro Ratti in collaborazione con Sara Navalesi
Disegno luci Daniele Passeri
Produzione SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione
Con il supporto di Pim Off / Teatro Excelsior di Reggello (FI) / Residenza IDra e Settimo Cielo nell’ambito del progetto CURA 2016
JITNEY DI AUGUST WILSON ore 21.00
La Piccionaia / Renzo Carbonera
PRIMA NAZIONALE
Regia Renzo Carbonera
Dramaturg Fabrizio Arcuri
Actor coach Tindaro Granata
Con Alessandra Arcangeli, Yonas Aregay, Maurizio Bousso, Germano Gentile, Aron Tewelde
Prima messa in scena italiana dell’opera del drammaturgo afroamericano due volte Premio Pulizer.
Nel sesto giorno di Pergine Festival abbiamo assistito a due spettacoli molto diversi tra di loro, come accade spesso in programmi ricchi e vari come quello presentato quest’anno a Pergine dalla direzione artistica di Babilonia Teatro.
Il primo lavoro che incontriamo è Tropicana di Frigo Produzioni. Lo spettacolo parte proprio dalla canzone Tropicana di cui, non appena la sentiamo nominare, abbiamo tutti il ritornello in testa. Ma che cosa c’è oltre quel ritornello? Una storia terribile di annientamento inconsapevole, una tragedia che si consuma tra il ballo e il divertimento. Ma perché nessuno si è mai accorto che dietro quella musichetta orecchiabile c’era tutto questo? E quali erano le intenzioni del Gruppo Italiano quando ha scritto questo pezzo? Questi gli interrogativi da cui parte un lavoro di analisi sul testo e l’eziologia di un pezzo musicale che tutti sanno ma nessuno conosce per davvero. Ma è anche l’occasione per gli artisti per interrogarsi su che cosa voglia dire fare un prodotto di successo, se sia possibile veicolare davvero un messaggio o se per fare braccia sul mercato sia necessario farlo passare in secondo piano, a beneficio di un appeal accattivante, quasi pubblicitario. Lo spettacolo è un continuo entrare e uscire dal gioco di finzione, svelato e spezzato, e un avvicendarsi del piano musicale e teatrale, uno svelare una paura reale dei protagonisti, che non a caso interpretano personaggi che hanno i loro stessi nomi, su che cosa voglia dire fare arte e allo stesso tempo provare ad avere successo duraturo in un mercato che abbagliato dalla luce di ciò che è facile ed attraente come una pubblicità di una bibita rischia di non accorgersi di ciò che c’è sotto. In questa lotta per l’affermare e l’affermarsi c’è spazio anche per gli scontri su ruoli e leadership all’interno del gruppo che con effetti esilarati vengono svelati sul palco all’interno di quello che appare come un processo creativo in itinere. Si ride parecchio, ci si diverte, ci si interroga, e si esce con un po’ di amarezza, consapevoli di essere in qualche modo uno di quegli ingranaggi che tengono in piedi inconsapevolmente il sistema di distrazione di massa e si canticchia per giorni “bevila perché è tropicana ye”.
A seguire, dopo una brevissima pausa in piazza Fruet dove ci si incontra, si beve, si mangia un boccone, si parla di spettacoli e si balla ogni sera, assistiamo al lavoro di Renzo Carbonera che porta in scena per la prima volta in Italia Jitney di August Wilson. Wilson è il più grande drammaturgo afroamericano, come spiega il regista stesso in uno dei tre interventi che fermano lo scorrere della narrazione e in cui si rivolgere direttamente al pubblico per raccontare la nascita del progetto. Jitney parla di un quartiere difficile di Pittsburg, in cui vivono soprattutto neri, ebrei ed italiani, un quartiere così difficili che i taxi preferiscono non arrivarci, è così che nascono i jitney, servizi di trasporto autogestiti, spesso l’unica occasione per qualcuno di fare qualche soldo e togliersi dalla strada. E’ dalle voci di questi taxisti che veniamo a conoscenza delle storie delle persone del quartiere tra crimine e speranza. Il testo è certamente una scoperta sia per lo stile che per i temi trattati per il pubblico italiano e va riconosciuto l’ottimo lavoro di tutti gli interpreti. Lascia tuttavia perplessi una regia immobilizzata, che lascia gli attori sempre seduti, fermi, certo in attesa, ma senza riconoscere i moti e la veemenza di un testo che esprime molto più corpo. Gli intermezzi video appaiono altrettanto scollati e non così strettamente necessari alla narrazione. Belle le musiche eseguite e cantate dal vivo. Un prodotto che nonostante abbia certamente elementi di novità e di interesse fatica a coinvolgere in due ore di messa in scena completamente statica.