Rossini fortissimamente Rossini

Mezzosoprano emergente di origine trentina, nata a Riva del Garda. Ha praticato musica fin da bambina nei cori cittadini, diplomandosi dapprima in flauto al Conservatorio a Riva del Garda e poi in canto a Padova, nel frattempo laureandosi in Medicina e conseguendo l’abilitazione. Ha percorso tutti i passaggi nella formazione rossiniana e del Belcanto; Accademia Rossinaia a Pesaro, corsi al Rossini in Bad Wildbad, approdando al Festival con le parti nel Viaggio a Reims per poi avviarsi in una carriera lineare ben consolidata.

Abbiamo saputo anche di un debutto importantissimo a Salisburgo nella Luisa Miller di Verdi Con Placido Domingo e direzione di James Conlon. Come ci si sente?

È stata una circostanza del tutto inaspettata. L’Agenzia mi ha chiamato durante una prova di regia qui a Pesaro e mi ha comunicato che al Festival di Salisburgo era uscito il mio nome e si chiedevano se avessi modo di partecipare alla loro produzione della Luisa Miller: due rappresentazioni in forma di concerto a fine agosto. Il caso (o la fortuna) ha voluto che le date non si sovrapponessero alle mie ultime recite pesaresi, permettendomi di cogliere al volo quest’occasione. Sono molto emozionata di poter far parte di un Festival di tale importanza e di poter lavorare di nuovo con Nino Machaidze con la quale siamo rimaste in amicizia dopo la nostra partecipazione al Rossini Opera Festival nel 2017. Vedere il proprio nome vicino a quello di Placido Domingo e avere l’opportunità di cantare insieme a lui, è un sogno che si avvera.

Ritorniamo alla cronaca. Bentornata a Pesaro: dopo l’apprendistato all’Accademia di canto eccoti nuovamente presente dopo l’Assedio di Corinto del 2017 con un nuovo ruolo che il compositore dedicò alle voci per mezzosoprano. Debutto in un altro titolo rossiniano Demetrio e Polibio. Che significa Pesaro per te?

Pesaro mi ha cambiato la vita. Prima dell’Accademia Rossiniana avevo chiaro il mio unico obiettivo: la laurea in Medicina. Dopo l’incontro con il Maestro Zedda, ho cominciato ad interessarmi a Rossini e al canto lirico in maniera completamente diversa rispetto a prima. Ho intravisto delle bellissime opportunità e mi sono appassionata al mondo della lirica.
A Pesaro quindi devo molto, non solo l’inizio del mio percorso professionale, ma anche la mia crescita personale e caratteriale, grazie agli incontri con colleghi provenienti da tutto il mondo e con artisti internazionali.
Poter debuttare nel Demetrio e Polibio quest’anno è il coronamento di un bel percorso rossiniano iniziato solo quattro anni fa e che spero di poter proseguire negli anni a venire.

È la prima realizzazione di Rossini scritta tra 1806, quando ancora non aveva neppure quindici anni, e il 1808, un Rossini giovanile quindi. Che differenza trovi in questa scrittura giovanile del Pesarese? Del resto si ritiene scritta sotto influssi mozartiani, Mitridate re del Ponto, Ratto dal Serraglio e debitore del canto barocco.

Nella scrittura musicale del Demetrio e Polibio si coglie molto bene la giovinezza dell’autore. Prendiamo per esempio lo sviluppo delle agilità: i pattern vocali proposti nel Demetrio spesso non sono omogenei e possono risultare “scomodi” per la voce. Nulla a che vedere con le agilità che verranno composte nelle opere successive, in cui è evidente la conoscenza più approfondita dello strumento vocale e che permettono all’interprete di far fluire la voce in modo più naturale attraverso le colorature.
Non mancano certo momenti in cui si intravede già il genio che sarà, come il Quartetto dell’ Atto II, che tra l’altro è l’unico brano parzialmente autografo dell’opera.
Nel 2017 ho partecipato al Rossini Opera Festival con Le Siège de Corinthe, datato 1827 ovvero due anni prima del ritiro dalle scene di Rossini. Pensare che si tratti dello stesso autore sembra quasi impossibile. Avere avuto la possibilità di confrontare in prima persona cosa significhi cantare il primo Rossini rispetto all’ultimo, è stata un’esperienza unica e molto formativa.

In brevissimo tempo ti stai confermando come una degli affermati mezzosoprani rossiniani, tuoi ruoli sono stati Cenerentola, Turco in Italia, Tancredi, Barbiere di Siviglia, che hai consolidato in questi brevi anni di professione nel canto. Soddisfatta della scelta intrapresa? Che sembra sia stata abbastanza facile.

Resto convinta del fatto che il belcanto stia alla base del canto lirico. La tecnica e il metodo che dà lo studio di Rossini, è una lezione che resta per la vita.
La scelta di affidare a Rossini l’inizio della mia carriera è stata tutt’altro che facile. Ho rinunciato al mio futuro nella Medicina, per rincorrere delle colorature scritte più di duecento anni fa. Con tanto studio e pazienza posso dire che ora comincio ad avere le risposte che cercavo quando feci questa scelta.
Sono molto contenta che Rossini faccia parte della mia vita, ma il repertorio inevitabilmente si allarga, già canto Mozart e il mio debutto come Cherubino al Palau des Arts de Reina Sofia di Valencia è imminente. Credo sia importante e sano per l’artista confrontarsi con più repertori assecondando il proprio strumento vocale.

L’allestimento di Davide Livermore del 2010 ha permesso di far conoscere questo primo lavoro rossiniano. Come ti confronti con qualcosa che circola in video e già passato in teatri (Napoli 2012) in un doppio ruolo di Demetrio-Siveno in una trama abbastanza complicata tra intrighi e agnizioni finali?

Durante la fase di studio preferisco evitare il confronto con materiale audio-video che rischia di condizionarmi troppo. Inoltre, essendo un’opera veramente rara, a maggior ragione è importante cercare il proprio punto di vista e la propria particolare interpretazione vocale e musicale.
La trama è veramente intricata e a tratti poco logica, ma Livermore ha trovato un bell’escamotage per far quadrare tutto. Siamo in un teatro e siamo i fantasmi della famiglia Mombelli, proprio quella che ha commissionato l’opera al Rossini adolescente e che l’ha poi interpretata (il padre era il tenore, mentre le due figlie avevano i ruoli di Lisinga e Siveno). In questo modo non si può tacciare la trama di nonsense, perché è proprio la famiglia Mombelli che la presenta al pubblico, così come è stata creata più di 200 anni fa.

In questa produzione ti trovi con illustri compagni di viaggio Jessica Pratt, riconosciuta rappresentante del belcanto, già presente nella produzione di Napoli 2013 e Juan Francisco Gattell, con il quale hai già cantato a Amsterdam, quale modalità di lavoro state instaurando tra di voi?

Il cast di questa edizione del Demetrio e Polibio è molto affiatato. Siamo solo in quattro e per questo motivo è un continuo uscire ed entrare in scena, che ci obbliga a stare sempre in contatto e a creare legami sul palcoscenico.
L’incontro con Jessica Pratt è stato illuminante; dopo averla ascoltata all’Opera per anni, ho potuto conoscerla anche durante il momento della preparazione e delle prove. Jessica non è solo un’artista impareggiabile, dal buon gusto e dalla tecnica mostruosa, ma è anche una tra le persone più genuine e gentili che abbia mai incontrato nel mondo dell’opera fino ad ora.
Spesso i cantanti sono spinti verso la competizione estrema, si preoccupano di emergere sugli altri e di “rubare la scena”; poter lavorare qui al ROF con colleghi, al contrario, così generosi è un toccasana, e in un clima disteso e sereno fare musica diventa il vero e unico obiettivo.

Si annuncia anche un ruolo in Donizetti (Lucrezia Borgia Maffio Orsini), annunciato Verdi romantico. Come ci si prepara in questi repertorio assai diverso, un ruolo in travestì e in un mezzosoprano ancora in via di trasformazione?

Fortunatamente i ruoli en travesti sono una specialità per il mezzosoprano, per cui il fatto di interpretare un uomo non mi è nuovo. Ciò che invece sarà tutto da scoprire per me è il compositore, ma ho quasi un anno per prepararmi e sono molto determinata a fare un bel debutto con Donizetti. Inoltre del Teatro di Bologna e del suo pubblico ho un bel ricordo con il Barbiere di Siviglia di quest’anno e non vedo l’ora di tornare a lavorarci.
Per quanto riguarda Verdi, già lo avevo approcciato nel Falstaff diretto da Alberto Zedda a La Coruna nel 2016, quindi la sua scrittura musicale non mi è sconosciuta. Purtroppo non ho molto tempo in questo caso per preparare il ruolo affidatomi, ma ci sono dei bravissimi pianisti qui a Pesaro che tra una prova del Demetrio e l’altra mi aiutano nello studio.

Alle prossime, in qualunque parte del mondo.

Federica Fanizza

Laureata in Filosofia all'Università di Bologna e curatrice degli archivi comunali di Riva del Garda, ha seguito un corso di specializzazione in critica musicale a Rovereto con Angelo Foletto, Carla Moreni, Carlo Vitali fra i docenti. Ha collaborato con testate specializzate e alla stesura di programmi di sala per il Maggio Musicale Fiorentino (Macbeth, 2013), Festival della Valle d'Itria (Giovanna d'Arco, 2013), Teatro Regio di Parma (I masnadieri, 2013), Teatro alla Scala (Lucia di Lammermoor, 2014; Masnadieri 2019), Teatri Emilia Romagna (Corsaro, 2016) e con servizi sulle riviste Amadeus e Musica. Attualmente collabora con la rivista teatrale Sipario. Svolge attività di docenza ai master estivi del Conservatorio di Trento sez. Riva del Garda per progetti interdisciplinari tra musica e letteratura. Ospite del BOH Baretti opera house di Torino per presentazioni periodiche di opere in video.

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