Intervista a Peter de Caluwe direttore del Teatro d’opera La Monnaie/De Munt di Bruxelles in occasione delle rappresentazioni del ciclo Bastarda I e II da Gaetano Donizetti
Bastarda, dal ciclo elisabettiano di Gaetano Donizetti, è un primo esperimento di opera lirica seriale, non un ciclo integrale ma una selezione ragionata e antologia per far percepire anche i processi culturali che hanno determinato anche scelte drammaturgiche e non altre: sei ore di musica, ma anche di prosa, danza, video, divise in due serate e scandite in 13 episodi suddivise in due parti autonome. L’idea è di Peter de Caluwe, direttore generale e artistico del teatro belga che ha pensato di sperimentare un ritmo narrativo pop anche all’opera. Ha senso ancora chiamare questa produzione con il nome di melodramma oppure è opportune creare un nuovo termine per simile operazione?
Non si conosce bene qui quel tipo di repertorio. Parlare di Belcanto qui in Belgio è ancora cosa rara. Certo che bisogna tentare una nuova strada per allargare i confini di un pubblico che cerca e chiede nuove proposte nell’opera. Sono ben consapevole che è un’operazione difficile e che in Italia non può essere capita, bisogna saper capire che tipo di formazione ha il pubblico di oggi. Certamente il pubblico dei 60/70enni che frequenta i teatri d’opera italiani si è formato ai tempi in cui Ronconi sperimentava le sue regie, memorabile rimane quella del Simon Boccanegra e il Viaggio a Reims con la direzione di Abbado. Ma adesso dobbiamo partire dalla considerazione di trovarci con un pubblico che non ha alcun riferimento culturale e iconico su una precisa tradizione teatrale. Occorre quindi partire dal presente culturale delle persone cercando di utilizzare l’opera come una riflessione sull’attualità politica e sociale del mondo che ci circonda. Del resto ciascun opera lirica rifletteva la situazione sociale, storica e personale di ciascun compositore nel suo tempo. Certamente il Teatro di Bruxelles de la Monnaie raccoglie una storia più che quarantennale di ricerca su nuove forme di portare in scena il repertorio, lo ha fatto con Gerard Mortier responsabile negli anni ’80 della gestione del Teatro, tramite una ricerca verso una programmazione indirizzata alla produzione contemporanea e a rinnovare la percezione di un repertorio consolidato nei gusti degli spettatori belgi. Del resto questa era la sua visione di politica gestionale:“Fare teatro significa rompere la routine dell’ordinario, sfidare l’accettazione della violenza economica, politica e militare come normale, sensibilizzare la comunità su questioni dell’esistenza umana che non possono essere regolate dalla legge e affermare che il mondo può essere migliore di quello che è fare teatro è quindi una missione, quasi un ufficio sacerdotale, senza essere una religione rivelata. Il teatro è una religione dell’umano.” Mortier riteneva il pubblico di Bruxelles troppo borghese. Il rinnovamento del repertorio non è solo nella ricerca di pratiche musicali legate alla contemporaneità ma la sua ricontestualizzazione. Le motivazioni per un progetto quale Bastarda è essenzialmente quella di offrire una opportunità di far ascoltare un altro tipo di repertorio, un progetto ben assortito dall’ideatore e regista Olivier Fredj, assieme al direttore Francesco Lanzillotta. Il teatro ha optato per un cast in gran parte italiano, con cantanti che il teatro stesso sta seguendo nella loro carriera offrendo possibilità di ampliare il proprio repertorio, chiamando il tenore Enea Scala, il mezzosoprano Raffaella Lupinacci, i soprani Valentina Mastrangelo, Francesca Sassu e l’olandese Lenneke Ruiten come la regista Cecilia Ligorio e tanti altri artisti italiani che strutturano il cast, Bruno Taddia e Luca Tittoto, come Sergey Romanovsky Occorre anche parlare di cultura letteraria e non solo di musica par capire la giusta connessione tra le parole, la messinscena e la trama stessa: per questo si è optato anche per una parte di narrazione. Il regista Olivier Fredj ha ricostruito in Bastarda i nodi delle relazioni familiari di estrema attualità nella casa reale inglese, il ruolo privato e il peso dell’eredità familiare. All’inizio si aveva la percezione di un’operazione rischiosa perché non si sapeva fino a che punto avrebbe trovato riscontro di pubblico. Un progetto a lungo preparato, rimandato, ma che alla fine ha avuto un successo oltre le aspettative. Successo che ha eguagliato quello degli Les Huguenots di Giacomo Meyerbeer allestita nel 2022, una trama complessa che sottendeva il rapporto tra Chiesa e politica con una esemplificazione morale di quanto il potere politico e religioso esercito sulle coscienze collettive e individuali.
Il teatro Le Monnaie è il teatro della città Capitale. Quale ruolo e funzioni deve saper svolgere per essere immagine della Cultura di uno stato? Questa è una funzione propria o da condividere con altri soggetti culturali.
Il teatro di Bruxelles non è soltanto il teatro d’opera della Capitale del Belgio ma rappresenta anche il Teatro della capitale dell’Europa che deve prendere in considerazione quanto si muove nell’arco delle esperienze teatrali europee. Come tale lasciare acceso il faro sulla situazione culturale che si sta creando in Ucraina, con la distruzione, oltre che dei teatri, anche del capitale umano di artisti. Come teatro d’Europa ecco le scelte di inserire in programma alcuni registi di punta della ricerca teatrale europea come Romeo Castelucci e il russo Dmitri Tcherniakov o la tedesca Andrea Breth, come il belga Cristophe Coppens. Il sistema teatrale belga riflette l’organizzazione politica e linguistica del Belgio e comprende il teatro d’Opera di Liegi, teatro dell’Opera di Vallonia che si muove con una sua linea di rispetto della tradizione lirica italiana, Anversa quale teatro di Opera e Ballet delle Fiandre assieme al teatro di Gand offrono una dimensione multilinguistica di un Belgio come terra di confine ed ad essi è demandato anche il balletto, arte che Bruxelles dopo l’esperienza di Maurice Bejart ha tralasciato.
Quali possono essere le azioni affinché il melodramma non sia uno stanco rituale di proposte di repertorio?
Occorre partire da un dato di realtà, ossia, la non conoscenza della storia da parte del pubblico: spiegare cosa sia successo in trame di secoli scorsi può diventare complicato, si cerca quindi di effettuare scelte artistiche che siano attente alla ricerca, certo la tradizione è la base su cui si lavora ma è anche tradire e reinterpretare le storie serve per restare avanti e per riuscire a far capire il senso di attualità dell’opera. Qui il pubblico cerca qualcosa di nuovo nella pur antica arte della musica.
Il programma 2023-24, appena presentato, per la sezione d’Opera prospetta un’ampia gamma di offerta dal Barocco alla contemporaneità. Wagner è rappresentato dall’Oro del Reno e Walkiria con la regia di Romeo Castellucci, ma incuriosisce anche un Turandot, che vuole guardare al futuro, osare per essere creativi e sfidare la tradizione come il progetto d’assieme sulle opere di Verdi, Nostalgia e Rivoluzione.
Con Verdi si ritenta il progetto di rimontare alcune opere giovanili verdiane fuori dal repertorio tradizionale, tra quelle che incitano alla Rivoluzione che poi inducono ad riflessione dopo gli entusiasmi e le delusioni dell’impegno politico. L’idea del Ring è duplice. Si parte dal fatto che l’orchestra è preparata per sostenere tale repertorio. Al regista italiano è affidata l’idea di reinterpretare i miti, la mitologia non è altro che lo specchio di archetipi personali, storie di uomini che si sentono dei, dei che intervengono sugli umani. Un progetto che proseguirà con questa linea interpretativa, presentando nell’ambito delle prossime stagioni Monteverdi concludendo un ciclo in cui le divinità si compenetrano nell’umano. Forse è proprio la Mitologia classica con Enea, Medea, Cleopatra, Ulisse, Cassandra che diventa archetipo della essenza stessa contemporaneità. Si parla di Fato, di casualità degli eventi umani: occorre reinterpretarli e farli assurgere a nostri valori. In questo modo il melodramma antico è specchio della contemporaneità.