Il 44° Rossini Opera Festival si apre a Pesaro con la nuova produzione di Eduardo e Cristina, ultima opera del catalogo ufficiale rossiniano non ancora eseguita al Festival. In quanto opera-centone, realizzata da Rossini assemblando musiche già utilizzate in precedenza, “Eduardo e Cristina” non ha finora goduto di particolare interesse e solo recentemente ne è stata rivalutata la drammaturgia. Jader Bignamini dirige l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e il Coro del Teatro Ventidio Basso, la messa in scena è interamente affidata a Stefano Poda, regista, scenografo e coreografo di origini trentine ormai affermato sulla scena internazionale, che nel corso di un’intervista (pubblicata parzialmente anche sul quotidiano l’Adige) ne svela alcuni aspetti.
Stefano Poda, quest’opera è stata segnata da un giudizio storico negativo: qual è il suo? Quali sono i suoi pregi?
Il mio giudizio è una sorta di fascino … Siamo di fronte ad un’antologia, un centone, di una grande qualità perché composto di grandi materiali organizzati da un genio assoluto. Il pregio principale di questo titolo è la sorpresa: il pubblico si ritrova di fronte a momenti musicali di provenienza diversa, ed è un continuo stupore. Penso per esempio all’aria di Carlo, tratta dall’Ermione, che è un puro fuoco d’artificio di un eroe epico (Pirro) … il pubblico non si aspetta tanta drammaticità alla corte di Svezia, dove re Carlo si trasforma per un momento nel glorioso figlio di Achille… e invece Rossini opera questi trasferimenti con molta lucidità: sia Carlo sia Pirro sono adirati contro una madre che vogliono ricattare attraverso minacce al figlio innocente … quindi, col suo autoimprestito, l’autore sembra dirci che non importa essere in un poema epico o in un melodramma: l’uomo si insegue e si richiama da solo nelle sue altezze e bassezze. Un altro esempio è l’inizio dell’opera, che è l’incipit di Adelaide di Borgogna: il coro da una parte canta “Giubila o patria, omai”, e dall’altra “Povera patria oppressa”, ma si tratta della stessa melodia … come possono le stesse note essere valide sia per il giubilo che per il pianto? Di nuovo, Rossini sembra suggerirci in questo modo che la realtà è doppia, difficile da interpretare, che ogni vicenda umana e politica (compresa la guerra) ha due facce opposte. Proprio su questo ho voluto puntare all’inizio della mia messa in scena: il giubilo generale mostra il suo lato amaro, disperato. La guerra è vinta, si celebra il trionfo, ma il palcoscenico è disseminato di morti, di persone che mancano, che sono perdute, di anime che non trovano pace.
Come ha ambientato la vicenda e come agiscono i personaggi, anche in relazione a scene e costumi?
La vicenda è ambientata in un mondo parallelo. Non mi interessa raccontare il libretto in maniera pedante, né ambientarlo in qualche situazione concreta in modo da spiegarlo meglio o trovargli chiavi di lettura attuali. Siamo malati di realismo, di cronaca, di informazioni. La vicenda del libretto si riassume in uno scontro fortissimo fra due opposti, fra padre e figlia. Ho quindi impostato tutto su un mondo distrutto e frammentato, polarizzato, una tragedia interna che trova uno spazio solido sul palcoscenico. Soltanto alla fine, nella conclusione felice, il pubblico vedrà il quadro ricomporsi, come una sorta di appianamento dei contrasti. Anche i costumi sono impostati in tal senso, quasi fossero una propagazione delle scene frammentate. Un grande apporto all’azione scenica è invece dato dal mio gruppo di danzatori, che fungono da amplificatori emozionali e accompagnano i sentimenti battuta per battuta in un lavoro musicale, non concettuale. Ai momenti di solitudine si alternano grandi pagine di esplosione corporea, e la danza è l’equivalente più fisico della musica e del canto.
È soddisfatto del cast e dell’orchestra? Del lavoro svolto durante le prove?
L’orchestra in mano a Jader Bignamini è una garanzia. La coppia di amanti, Eduardo e Cristina, è molto credibile perché si tratta di due artiste di grande sensibilità, Daniela Barcellona e Anastasia Bartoli. L’una apporta tutta la sua classe e la sua esperienza, l’altra ha un fuoco interiore che la rende dominatrice del palco: la loro differenza di carattere si presta molto bene anche a differenziare la psicologia dei personaggi. Eduardo è reso da Daniela come un eroe fragile, malinconico, coraggioso ma ferito: Cristina invece è una donna oppressa che non si rassegna, una vera lottatrice. Entrambe sono accompagnate da Enea Scala, che è il nostro gran mattatore nel ruolo del padre-tiranno che usa la forza per mascherare la sua devastazione interiore. Infine, una menzione va assegnata al bambino che abbiamo sul palco in diverse lunghe scene, al quale è anche affidato il messaggio finale dell’opera: ogni genitore ripone nel figlio aspettative e progetti che per forza verranno disattesi… nessun figlio vivrà mai come ce lo immaginiamo. Il segreto della vita, e della serenità, è trovare il modo di accettare e sublimare questo distacco.
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