Arena di Verona, 14 giugno 2024 ore 21.30
AIDA, Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
–
Aida Marta Torbidoni
Amneris Agnieszka Rehlis
Radamès Gregory Kunde
Il Re Riccardo Fassi
Ramfis Alexander Vinogradov
Amonasro Igor Golovatenko
Un messaggero Riccardo Rados
Una sacerdotessa Francesca Maionchi
Direttore Marco Armiliato
Regia, scene, costumi, luci, coreografia Stefano Poda
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino
Assistente a regia Paolo Giani Cei
A un anno di distanza dalla prima assoluta, torna in Arena l’ultramoderna idea di Aida di Stefano Poda. L’accoglienza – in occasione di quella serata inaugurale del 100° festival, in mondovisione – era stata a dir poco controversa. Se da un lato c’è un’innegabile maestosità, frutto di un lavoro artistico e tecnologico che non si pone molti limiti in termini di mezzi, dall’altro pesa sul giudizio dello spettatore una carenza di comprensibilità. Il pensiero di Poda rimane enigmatico, astratto, al punto da rendersi a tratti inaccessibile, oltre che perlopiù estraneo alla narrazione Verdiana. Di ciò abbiamo (copiosamente) parlato nella recensione della serata dell’anno scorso, disponibile qui. Di fatto va però riconosciuto che l’allestimento ha suscitato un certo interesse, una curiosità che porta la gente a teatro e che giustifica la ripetizione di quest’anno. Anno in cui “le Aida” in scena saranno – comunque – due: per la gioia dei più affezionati conservatori, quest’estate si potrà assistere alla storica edizione di De Bosio, l’”Aida 1913” proposta in cinque date, tra agosto e l’inizio di settembre.
Piramidi laser a parte, l’occasione sarebbe buona per riportare l’attenzione sull’esecuzione. Se non fosse che, anche sul piano prettamente musicale, l’Aida di venerdì 14 giugno fatica a decollare. Proprio come un anno fa, sul podio c’è la bacchetta di Marco Armiliato, che conduce però l’Orchestra della fondazione Arena con meno personalità, restituendo una lettura dell’Opera che risulta in generale meno appassionata. La narrazione musicale funziona, e si percepisce la ricerca di un suono di qualità, ma non tutto riesce. Non contribuiscono i momenti – non rari – di scarso insieme, sia tra gli elementi dell’orchestra che tra questa e il palco. Apprezzabili gli interventi del Coro della fondazione, preparato da Roberto Gabbiani, nonostante qualche difficoltà che colpisce – inaspettatamente – anche qui.
Spicca nel cast la performance di Marta Torbidoni, che debutta in Arena nel ruolo del titolo dimostrando grandi capacità musicali. La prova – non semplice – è superatissima: il soprano delinea un personaggio autentico, credibile, curato nei dettagli e coinvolto nella tragicità della vicenda. La voce, bella di timbro, è sfruttata con saggezza e buona tecnica. Le premesse ci sono tutte per un interessante futuro areniano.
Al suo fianco, Gregory Kunde è un Radamès un po’ fuori forma. Buona l’interpretazione del personaggio e apprezzabili le intenzioni, ma lo strumento vocale si rivela subito infiacchito, inadatto a riempire il grande spazio che lo circonda. Buona l’Amneris di Agnieszka Rehlis, anch’essa nuova tra i nomi dell’Arena. Capace di un’ottima presenza scenica, il soprano affronta la parte con tecnica, riuscendo – in alcuni tratti più che in altri – a costruire una principessa di carattere.
Profondo e solenne il Ramfis di Alexander Vinogradov, di certo azzeccato nel ruolo, e assai riuscito l’Amonasro di Igor Golovatenko, che – seppur a tratti un po’ eccessivo – disegna i tratti di un Re autorevole e agguerrito.
Più che apprezzabile il contributo di Riccardo Rados (Messaggero), Francesca Maionchi (Sacerdotessa) e Riccardo Fassi (il Re), con particolare menzione per quest’ultimo.
In un’Arena nuovamente sold-out, il pubblico si dimostra coinvolto e tutto sommato aperto alle proposte peculiari di questa regia. Generosi applausi al termine della rappresentazione, un po’ meno a seguito delle arie più celebri. Particolare apprezzamento per l’Aida di Torbidoni.
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