Bolzano, Teatro Comunale
sabato 9 novembre ore 20; domenica 10 novembre ore 16
Fondazione Haydn di Bolzano e Trento – Stagione Sinfonica e d’Opera 2024/25
Arnold Schönberg
Pierrot Lunaire op. 21
Testo di Albert Giraud, traduzione in tedesco di Otto Erich Hartleben
INTERPRETI
Musa: Alda Caiello
Artista: Bruno Taddia
I Solisti dell’Orchestra Haydn
Direttore musicale: Michele Gamba
Regia Valentina Carrasco
Scene e costumi Mauro Tinti
Lighting Design Giuseppe Di Iorio
Giacomo Puccini
Gianni Schicchi
Libretto di Giovacchino Forzano
INTERPRETI
Gianni Schicchi: Bruno Taddia
Lauretta, sua figlia: Sara Cortolezzis
Zita, cugina di Buoso: Enkelejda Shkoza
Rinuccio, suo nipote: Antonio Mandrillo
Gherardo, nipote di Buoso: Marcello Nardis
Nella, sua moglie: Francesca Maionchi
Gherardino, loro figlio: Ben Perkmann
Betto di Signa, cognato di Buoso: Gianni Giuga
Simone, cugino di Buoso: Renzo Ran
Marco, suo figlio: David Roy
La Ciesca, moglie di Marco: Sarah Richmond
Maestro Spinelloccio, medico: Mattia Rossi
Messer Amantio di Nicolao, notaio: Mattia Rossi
Pinellino, calzolaio: Federico Evangelista
Guccio, tintore: Lorenzo Ziller
Buoso Donati: Iosu Lezameta
Orchestra Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Direttore musicale: Michele Gamba
Regia: Valentina Carrasco
Scene e costumi: Mauro Tinti
Lighting Design: Giuseppe Di Iorio
Un accostamento inusuale e interessante, quello tra Pierrot lunaire op. 21 di Arnold Schönberg e Gianni Schicchi di Giacomo Puccini, proposti in forma di dittico al Teatro Comunale di Bolzano quale inaugurazione della stagione d’opera dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, da quest’anno curata dal direttore artistico Giorgio Battistelli. Bisogna tornare alla stagione 2020-2021 per trovare una combinazione analoga, quella di Emma Dante che, nella stessa serata, metteva in scena La voix humaine di Poulenc e Cavalleria rusticana di Mascagni: se la palermitana Dante accentuava la distanza tra il teatro verista e una scena altamente sofisticata e rarefatta (unico punto condiviso la figura femminile vista come centrale), nel proporre Puccini a fianco di Schönberg la regista argentina Valentina Carrasco tratteggia invece una continuità tra i due lavori, con l’ambito delle arti figurative a tesserne l’orditura. Ottimamente interpretate dal soprano Alda Caiello, le “tre volte sette” poesie per voce recitante e strumenti prendono vita in un atelier d’artista, nel quale ciascun episodio trova il suo correlativo o in un quadro a tema, o nel caos e nella distruzione (come avviene per il carattere macabro che esprime la seconda sezione), oppure, senza paura di scendere in un descrittivismo pedissequo, nella Musa che si provvede di catino e assume la stessa posa di una figura ritratta, come avviene per Eine blasse Wäscherin.
Con ferrata comprensione delle indicazioni dell’autore, la cantante intona solo la nota d’attacco di una frase e prosegue poi come Sprechstimme, restituendo quella che all’epoca (1912) era la novità trovata da uno Schönberg già atonale (non ancora dodecafonico) per la tavolozza espressionista, lo Sprechgesang, appunto. L’interprete stupisce piacevolmente per la morbidezza del timbro, che, unita a chiarezza nella dizione e a precisione encomiabile, interagisce egregiamente con le linee degli strumenti in un raffinato contrappunto. La parte dell’artista, un Pierrot dal camicione macchiato dai colori, è coperta dal baritono Bruno Taddia, che con lo stesso costume entrerà poi in scena nel Gianni Schicchi col ruolo del titolo. A rafforzare la continuità con il successivo atto unico pucciniano, nell’atelier ormai semidistrutto entra una figura che si rifà all’estetica futurista, un burattino vivente dalle movenze meccaniche che non sfigurerebbe nei Balli plastici, che in seguito si scoprirà essere Lauretta, la figlia dello Schicchi.
Una rigogliosa, simpatica accozzaglia di citazioni che include, oltre al Futurismo del personaggio di Lauretta, Michelangelo, Raffaello, Sant’Agata (come raffigurata da Francesco Vanni), il Cristo velato del Sanmartino, Piet Mondrian e altro, facendovi entrare anche un parodistico Dante che prima salta fuori dal sepolcro assieme a Beatrice, poi attraversa la scena col fagotto in spalla sulla frase “e vo randagio come un Ghibellino”, infine si azzuffa con lo Schicchi. Si tratta dell’unica opera comica di Puccini, dove sia la morte sia l’Inferno di Dante sono trattati con l’adeguata irriverenza e, su questa base di partenza, Valentina Carrasco calca ulteriormente la mano verso una dissacrazione a tutto tondo, ma lo fa bene e ottiene l’effetto voluto. I numerosi componenti della famiglia Donati, che esordiscono con costumi e pose degni di una pala rinascimentale, sono quelli che reggono la scena per tutta la rappresentazione e la compagnia di canto si rivela pienamente soddisfacente: si fa notare una Zita di vocalità prorompente, Lauretta si merita il plauso nell’aria “O mio babbino caro” e lo stesso si dica di Rinuccio con “Firenze è come un albero fiorito”, tutti svolgono con efficacia il loro ruolo, in un lavoro che è corale piuttosto che incentrato su ruoli solistici. Al protagonista l’autore non ha destinato nemmeno un’aria e il personaggio si gioca tutto sulla caratterizzazione; per questo ruolo, gestito peraltro con adeguata presenza scenica, sarebbe desiderabile, rispetto a quanto espresso in questa occasione, una cantabilità più morbida, duttile ed espressiva (nei rari episodi in cui la recitazione lascia spazio alla melodia), oltre a una toscanità più accentuata e spontanea.
Oltre alle luci, giocano un ruolo essenziale le scene e i costumi, che sono parte del gioco corale col peso di coprotagonisti; di grande effetto la trovata scenografica finale, con lo sfondo completamente bianco e i parenti relegati dietro una cancellata neoplasticistica. L’Orchestra Haydn era diretta con maestria da Michele Gamba e tutta la ricchezza dell’orchestrazione pucciniana veniva sprigionata con vigore, in ottima coordinazione tra golfo mistico e palcoscenico. Nella sala al completo era tangibile il gradimento del pubblico, espresso con lunghi e vigorosi applausi.
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