Verona, 1 luglio 2023 ore 21.15, Arena di Verona
Rigoletto. Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma Le roi s’amuse di Victor Hugo
Musica di GIUSEPPE VERDI
Casa Ricordi – Universal Music Publishing Ricordi s.r.l.
Prima rappresentazione
REGIA Antonio Albanese
SCENE Juan Guillermo Nova
COSTUMI Valeria Donata Bettella
LUCI Paolo Mazzon
COREOGRAFIA Luc Bouy
DIRETTORE Marco Armiliato
IL DUCA DI MANTOVA Yusif Eyvazov
RIGOLETTO Roman Burdenko
GILDA Rosa Feola
SPARAFUCILE Gianluca Buratto
MADDALENA Valeria Girardello
GIOVANNA Agostina Smimmero
IL CONTE DI MONTERONE Gianfranco Montresor
MARULLO Nicolò Ceriani
MATTEO BORSA Riccardo Rados
IL CONTE DI CEPRANO Roberto Accurso
LA CONTESSA DI CEPRANO Francesca Maionchi
UN USCIERE DI CORTE Giorgi Manoshvili
UN PAGGIO DELLA DUCHESSA Elisabetta Zizzo
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino
Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici della Fondazione Arena di Verona
Tradimenti e vendette, giochi di potere e oppressione dei più deboli. La storia di un uomo esasperato dalla vita e vittima di un dispotismo feroce non fatica – ahimè – a trovare parallelismi in epoche o luoghi diversi dalla Mantova cinquecentesca. Dopotutto lo stesso Verdi fu costretto, insieme al fedele Piave, a spostare lì la vicenda originariamente inquadrata da Hugo nella corte di Francesco I a Parigi. Questa volta nessuna censura, ma l’idea di Antonio Albanese – al suo debutto in Arena – di traslare gli avvenimenti in un paesaggio padano degli anni Cinquanta, proiettando lo spettatore in uno scenario che appare senz’altro meno lontano di un antico Ducato preunitario. Un balzo in avanti di quattro secoli, una trasformazione profonda del contesto sociale, ma non sufficiente a dissolvere la disumanità di una società vittima delle vessazioni dei potenti a scapito degli emarginati. Il messaggio passa, e l’intento del regista di ricostruire un’ambientazione neorealista si concretizza in un tributo al cinema di quegli anni, che funziona bene e non inciampa in grossolani anacronismi.
L’ambito è dunque un paesino di campagna, dove tutti conoscono tutti e il potere si concentra nelle mani di un riccastro locale che non conosce regole al di sopra dei suoi capricci. L’impostazione del disegno registico è perlopiù tradizionale, e tutto si svolge sostanzialmente come ci si aspetterebbe, con ogni personaggio al suo posto e senza molte sorprese. Di conseguenza, la scena è spesso stabile, e traccia quasi dei quadri che – una volta dipinti – si evolvono poco o per nulla fino al successivo numero musicale. Juan Guillermo Nova realizza scene curate e ben in linea con il carattere voluto dalla regia, seguendo uno stile che ricorda decisamente gli allestimenti dei teatri “tradizionali”, piuttosto che le produzioni areniane. Non si nota – infatti – quell’impiego strategico che in molti (non solo Zeffirelli) hanno fatto dell’ampio spazio a disposizione, giocando in tre dimensioni, sfruttando l’altezza e la profondità. Il coro, per fare un esempio, si trova spesso stipato tra i pochi metri che dividono le strutture sceniche dalla buca, un po’ accalcato, senza possibilità di muoversi molto, come se quello non fosse il palco del teatro d’opera più grande del Mondo. Una caratteristica, non per forza una mancanza, che contribuisce però ad un macroscopico effetto di staticità che è difficile non percepire. Insomma, nulla di stupefacente, nulla di sconvolgente, ma piuttosto una soluzione interessante, in generale ben riuscita, che probabilmente vedremo di nuovo in programma. Completano l’allestimento i sobri ma curati costumi di Valeria Donata Bettella, l’efficace il lavoro alle luci di Paolo Mazzon e le coreografie, perlopiù minimali, di Luc Bouy.
Bacchetta tra le più frequenti nel cartellone del centenario, Marco Armiliato è alla guida musicale della nuova produzione di Rigoletto. Professionalità ed esperienza gli consentono di portare avanti senza difficoltà un impianto già complesso di suo, ulteriormente complicato da problemi tecnici che obbligano l’orchestra a fermarsi per qualche minuto al primo atto. Disincagliata la piattaforma rotante al centro della scena, l’opera procede tra gli applausi del pubblico, con una lettura accurata della partitura, particolarmente attenta all’aspetto più intimo e riflessivo dei personaggi. Il secondo e il terzo atto, in generale, guadagnano fluidità e carattere, e la performance musicale dell’orchestra della fondazione si dimostra nuovamente ammirevole.
Yusif Eyvazov, anch’egli di casa in questa stagione, è il Duca di Mantova . La tecnica vocale non delude, e si accompagna ad una certa capacità di impersonare con carattere il fare frivolo ma tracotante di un uomo seducente e prevaricatore. Fatta eccezione per alcuni tratti in cui il volume dell’orchestra tende a rendersi arduo da sovrastare, la resa sonora è piacevole e misurata, con buona gestione del fiato. Nel ruolo del titolo, Roman Burdenko risulta sonoro ed incisivo, e affronta la parte con scrupolosità. Ben calato nel personaggio, dà vita ad un Rigoletto convincente e tormentato, seppur non sempre efficace nell’esprimere l’indole più intima del buffone. Rosa Feola, che all’ultimo sostituisce Nina Minasyan, domina la scena impersonando una Gilda da manuale. Il timbro è bello, la tecnica ineccepibile e l’interpretazione musicale coglie le sfumature di un personaggio riuscitissimo, che tocca forse l’apice nel “Caro nome” dell’atto primo. Pressoché perfetto anche lo Sparafucile di Gianluca Buratto, che nello stesso ruolo aveva già convinto i veronesi nell’ultimo Rigoletto al Filarmonico, mettendo in campo un imponente strumento vocale e una combinazione vincente di tecnica e carattere. Bene Valeria Girardello, che nonostante il volume non sempre generoso impersona con verve una Maddalena provocante. A completare il cast Agostina Smimmero (Giovanna), Gianfranco Montresor (Conte di Monterone), Nicolò Ceriani (Marullo), Riccardo Rados (Borsa), Roberto Accurso e Francesca Maionchi (Conte e Contessa di Ceprano), Giorgi Manoshvili (usciere) e Elisabetta Zizzo (paggio).
In un’Arena piuttosto affollata, seppur non sold-out, il pubblico è generoso con il cast, con l’orchestra e con il coro, che dà come sempre il suo eccellente contributo, sotto la nuova direzione Roberto Gabbiani. Lunghi applausi premiano gli artisti, ma anche Albanese e la sua squadra, confermando l’esito positivo di una prima i cui intoppi iniziali sono già dimenticati.