Rovereto, Teatro Zandonai 3/09/2024 – 20:30
44a ed. Oriente Occidente
The Rite of Spring
Coreografia e regia Seeta Patel
Prima nazionale
Musica Igor Stravinskij – La Sagra della Primavera (Registrazione della Spring –Rafael Fruhbeck de Burgos – London Symphony Orchestra)
Interprete dell’intermezzo cantato Roopa Mahadevan
Music Advisor Julien Kottukapally
Costumi Jason e Anshu Arora
Lighting Design Warren Letton
Production Manager Bethany Gupwell
Danzatori The Rite of Spring Adhya Shastry, Aishani Ghosh, Indu Panday, Kamala Devam, Moritz Zavan Stoeckle, Sundaresan Ramesh
Commissione del Sadler’s Wells (Londra, UK)
Finanziato da The Bagri Foundation, Arts Council England, Cockayne Foundation, The Place, Birmingham Hippodrome, Curve, The Lowry, Pavilion Dance South West, Akademi and Dance4
Supportato da British Council Dance City, Kala Sangam, Spin Arts and Yorkshire Dance
Paesi Regno Unito, India
Il progetto fa parte di Asia-Europe Cultural Festival 2024, organizzato da ASEF con il finanziamento dell’Unione Europea.
Il Bharatanatyam è una danza liturgica risalente alla fine del XIX secolo, nell’ambito delle arti e tradizioni considerate rilevanti per l’identità culturale indiana. Originaria del Tamil Nadu, nel Sud dell’India, è fra le danze indiane classiche più conosciute al mondo ed è generalmente portata in scena da un solo danzatore. Lungi dall’essere una “danza millenaria” è di contro il frutto di uno specifico processo storico di riformulazione stilistica che ha condotto all’attuale forma definita dagli stessi critici indiani “neo-classica”. Le mani e i piedi marcano il ritmo tanto della creazione come della distruzione. La mano destra assicura la protezione ai devoti, la sinistra, posta di traverso al corpo significa rifugio, il piede sinistro rappresenta benedizione, il piede destro significa vittoria sul male e le braccia superiori, che portano un tamburo e il fuoco, rappresentano rispettivamente l’impulso creativo e la distruzione. Per noi profani di cultura indiana si potrebbe essere indotti a ritenerla una danza etnica circoscritta ad una determinata cultura e considerando le ritmiche di quel mondo, estranea ad un pezzo classico di danza moderna come le Sacre du Printemps di Igor Stravinskij nato con le innovative coreografie di Sergej Diagilev nel 1913 che del resto tratta della rievocazione di un culto pagano sacrificale di una fanciulla da parte della comunità per propiziarsi gli dei e il raccolto. Una musica che è stata oggetto di recente di tante interpretazioni coreografiche che puntano sia sulla potenza della musica come su una nuova narrazione. La rilettura della Sagra della Primavera di Igor Stravinsky da parte della coreografa di origine indiane Seeta Patel è quanto mai sorprendente. Qui è la musica che dà forma alla coreografia che rielabora, in stilemi della danza moderna accademica, la gestualità di questa tipologia di danza indiana, Bharatanatyam, accentuandone la lentezza con l’accurata scelta dei movimenti focalizzandosi sulla postura e la ritmica dei piedi e del corpo, tenendo ben presente la potenza ritmica della Sagra della Primaveva e la sua narrazione. Come una gestualità tipicamente occidentale nelle movenze dell’elemento femminile. Un breve inserimento tradizionale ci fa da connessione tra due concezioni musicali alquanto differenti.
Certamente lo scopo della coreografa è quella di creare un ponte culturale tra due mondi apparentemente diversi con perfetto intreccio tra danza e musica attraverso gli intricati, geometrici movimenti della danza rituale indiana. Ma la ritualità proprio l’essenza stessa della musica di Stravinskij fa da sostegno al progetto con il risultato complessivo di un sincretismo pienamente riuscito. I costumi essenziali e senza tempo dei 7 danzatori (uomini e donne) hanno contribuito restituire l’essenzialità di quel rituale ancestrale.
Certo si possono fare tanti di discorsi di multiculturalità ma qui emerge piuttosto l’origine comune stessa della danza, che è rito fatto di gesti e di mondi sonori che possono essere diversi ma che tale rimane. L’evento ha fatto registrare uno dei tanti tutto esaurito di pubblico, consapevole di quanto ha assistito, che si è esaltato alla fine dell’esibizione. A fine spettacolo l’incontro con la coreografa che ha chiarito i suoi ambiti culturali tra India, Africa e Inghilterra, sottolineando il complesso lavoro di riprogettare la danza classica indiana in dialogo e in scoperta con altri mondi sonori e culturali.