Auditorium S. Chiara – Trento | 14 febbraio 2024, ore 20.30
Orchestra Haydn Orchester di Bolzano e Trento
Alissa Rossius flauto
Thomas Dausgaard direttore
B. Sørensen Enchantress [prima esecuzione italiana]
C. Nielsen Concerto per flauto e orchestra
P.I. Čajkovskij Sinfonia n. 5 in mi min. op. 64
***
La serata si apre sulle note in prima italiana di Enchantress del compositore danese Bent Sørensen. Cinque intermezzi per orchestra ispirati, almeno per il titolo, alla poesia Enchantress Farewell dello scozzese Walter Scott. Le immagini evocate sono quelle di una Scozia spartana e ventosa, con qualcosa di misterioso… Attraverso l’utilizzo di armonie che sfumano in glissandi e di inflessioni microtonali, siamo catturati da un rimbombo silenzioso che ci ricorda qualcosa che non abbiamo mai sentito. Non si parla di riciclo, bensì di un linguaggio musicale innegabilmente attuale, sia esteticamente che tecnicamente. Un tema nel momento in cui diventa tangibile e riconoscibile, si dissolve, si oscura; gli echi, e gli echi degli echi, si diffondono come increspature nell’acqua; i contorni silenziosi e sfumati, che suonano come fossero ascoltati dietro a finestre appannate, sono tratteggiati con minuziosi dettagli calligrafici. Il tutto è scandito da una pulsazione suggestiva evidente, come il rintocco delle campane, e, in egual misura, da un silenzio capace di assordare.
Rimaniamo in Danimarca con il Concerto per flauto e orchestra di Carl Nielsen. A differenza del Concerto per violino, il suo Concerto per flauto riflette le tendenze moderniste degli anni ’20 ed è privo di stabilità tonale. Sebbene sia generalmente in stile neoclassico, ha solo due movimenti invece di tre, come è consuetudine nella forma del concerto classico. E’ permeato da un senso del divertimento maturo con un’intuizione profondamente poetica del carattere umano. Una delle tecniche compositive preferite da Nielsen era quella di mettere due strumenti l’uno contro l’altro come combattenti virtuali. Qui a “duellare” sono il flauto aristocratico e il trombone basso, il primo aristocratico e il secondo rozzo e brontolone. Alissa Rossius offre una lettura raffinata ed elegante nel suo complesso esprimendo appieno i vari stati d’animo del Concerto che vanno dalla passione alla noia, del primo movimento, fino all’innocenza – quasi infantile – e al sorriso del secondo movimento. Perfettamente assecondata dalla direzione del marito e dall’orchestra.
A chiudere il cerchio, il dolore e la speranza della Quinta Sinfonia di Čajkovskij. Quando iniziò a lavorare alla partitura soffriva di depressione e di mancanza di fiducia in se stesso, oltre a non star bene fisicamente. Fortunatamente, trovò un po’ di tregua dai suoi problemi nella campagna intorno alla sua casa di Frolovskoye, vicino a Klin, fuori Mosca. La partitura può essere vista come un viaggio dalla cupa disperazione al luminoso ottimismo. In ogni movimento, Čajkovskij impiega un motto ricorrente, il tema del “Destino”. Si tratta di un’opera meravigliosa per potenza e passione e allo stesso tempo, quasi in conflitto con se stessa. Un altro ritratto molto umano di un grande compositore. Non dimentichiamo che all’epoca Čajkovskij sembrava non riuscire ad accontentare alcune delle élite dei circoli musicali: o non era abbastanza russo nelle sue composizioni, o era troppo russo in alcuni approcci alla sua musica per balletto. Con la sua quinta sinfonia, Čajkovskij dimostrò di avere ancora quella capacità di infrangere le convenzioni, creando un’opera piena di oscurità e di luce, di potenza e di fragilità.
Una delle sfide con la sua musica, e in particolare con questa sinfonia, è quella di tenere sotto controllo le sue tendenze selvagge e a volte aggressive, in modo da ricavare dall’opera un insieme coeso piuttosto che una serie di picchi emotivi. La gestione della partitura da parte di Dausgaard non riesce, a mio avviso, a garantire questo controllo. Diversi i momenti che hanno visto rapide accelerazioni, seguite da altrettanto improvvise “frenate d’emergenza”, particolarmente evidenti nei due climax del movimento lento. La Valse è risultata emotivamente distaccata, con difficoltà (forse a causa dell’acustica infausta dell’Auditorium) a percepire il calore sonoro di 6 leggii di primi violini. Il finale si è rivelato spavaldo e un po’ sfacciato, a scapito delle sfumature, anche solo in senso dinamico. L’ Orchestra Haydn Orchester suona con risoluzione e impegno, ad eccezione di alcune fanfare, leggermente stralunate e di qualche problema di intonazione.
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